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Su una cosa non abbiamo dubbi: oltre che sullo stato delle proprie carceri, il grado di civiltà di un paese si misura anche sulla tenuta del suo stato di diritto - ovvero su quel reticolo di norme che vincola lo Stato al rispetto dei diritti e protegge i cittadini dall’arbitrio della giustizia -, e sulla trasparenza dei rapporti tra stampa, magistratura e forze di polizia.
E di una cosa siamo certi: in questo Paese quel rapporto è malato. Quella tra giornali e magistratura è una relazione tossica, che genera mostri e mette a rischio i nostri diritti.
E l’ultima prova di questa patologia arriva dalla “sputtanopoli” sul caso Verdini.
Il Dubbio ha infatti scoperto che gran parte delle intercettazioni finite sui giornali non erano nella ordinanza del Gip e dunque qualche manina le ha passate surrettiziamente a un paio di selezionatissimi giornali.
E così anche il nome del figlio del presidente della Repubblica è finito nel tritacarne mediatico-giudiziario. Ma non pensiate che sia casuale, che sia frutto di una svista, di uno scivolone. Nulla di tutto questo: tirato in ballo senza alcuna ragione - non è indagato e non è sospettato di nulla - quel nome, Mattarella, è finito nella cronaca giudiziaria solo per dare pepe e visibilità mediatica all’inchiesta.
Come detto Il Dubbio sa per certo che quella intercettazione, insieme a chissà quante altre, non era nell’ordinanza del Gip ma in una di quelle informative che dovrebbero essere ben custodite perché contengono informazioni che nulla hanno a che vedere con le indagini ma che pure hanno il potere di rovinare carriere, spesso esistenze intere. Insomma, quel brogliaccio è stato consegnato ai giornali da chi dovrebbe tutelare i nostri diritti, le nostre garanzie,
Com’è possibile che ciò accada, e come è possibile, soprattutto, che nessuno abbia nulla da dire? Che strano concetto di legalità hanno gli aedi del panpenalisimo…