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ELLY SCHLEIN SEGRETARIA DEL PD
È tutto vero: c’è stato un tempo in cui il Partito Democratico – meglio, la parte pensante, colta e riformista del Partito Democratico – credeva nella separazione delle carriere tra giudici e pm. E non era certo roba da circoli Arci o da mozioni minoritarie nei congressi di provincia. Parliamo di figure di primissimo piano e di grande valore tecnico-politico come Debora Serracchiani: una delle parlamentari più competenti e lucide del panorama, e non solo tra i dem. E parliamo di Maurizio Martina, candidato alla segreteria, che nel suo programma scriveva chiaro e tondo: «Il tema della separazione delle carriere appare ineludibile per garantire un giudice terzo e imparziale».
Poi, qualcosa si è rotto. È passata una linea diversa, più prudente, più politicista. Parliamo del politicismo da retrobottega, quello che ti fa barattare una riforma di civiltà con un titolo di giornale contro il ministro Nordio. Di quello che ti fa sacrificare una battaglia garantista per tentare – magari – di logorare il governo. E sia chiaro: nulla di scandaloso. “La politica è sangue e merda”, come diceva con classe aristocratica Rino Formica. Ma è anche identità. E qui il Pd ha smesso di riconoscersi.
Rinunciando alla battaglia sulla separazione delle carriere, il Pd ha buttato via una delle sue anime migliori, e nel farlo si è consegnato mani e piedi a una visione giudiziaria della politica. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, ma solo Dario Franceschini, con la lucidità che viene a certi veterani quando smettono di cercare applausi, ha avuto il coraggio di nominarlo. Secondo Francesco Verderami – che, va detto, Franceschini ha smentito – il discorso al Senato dell’ex ministro non era rivolto al governo, bensì alle toghe. Non un’invettiva, ma una captatio benevolentiae. Una risposta politica a un messaggio che sarebbe arrivato dalla magistratura più militante, quella che non ama la riforma Nordio e che gradirebbe, diciamo così, una maggiore fedeltà alla causa.
Dice Verderami: «Il Pd, proprio mentre si discuteva la riforma costituzionale, finiva nel mirino di varie procure. Franceschini non ha pensato a una regia unica, ma ha colto una trama di segnali convergenti. Come dire: il partito è stato messo alla prova. E lui ha risposto, a modo suo». Tradotto: un colpo al cerchio, uno alla toga. Una carezza al potere giudiziario, non si sa mai. Un’ammiccata non tanto per difendersi, quanto per evitare il peggio.
Ma il peggio è già qui. L’alleanza implicita tra il Pd e una certa magistratura – quella che fa politica senza candidarsi, che suggerisce l’agenda senza passare dal voto – sta diventando un cappio. E il nodo, stavolta, lo ha stretto il Pd.