La sinistra politica e sindacale rimase basita quando Enrico Berlinguer affermò che si sentiva più sicuro sotto l’ombrello della Nato piuttosto che in altre situazioni. La Nato? E che fine aveva fatto lo slogan che si urlava nelle manifestazioni per la pace a senso unico: ‘’fuori l’Italia dalla Nato! Fuori la Nato dall’Italia!’’?

Probabilmente il segretario del Pci parlava per sé, nel senso che gli erano rimasti parecchi dubbi sull’incidente stradale in cui era incorso in Bulgaria. Ma perché (si parva licet) mi riferisco a quelle parole che, a suo tempo, ebbero la loro importanza nel segnare il processo di autonomia del Pci dal Pcus (che, peraltro, non arrivò mai a compimento prima del crollo del Muro di Berlino)?

Devo ammettere che mi chiedo spesso se le questioni che ritengo più importanti in questa stagione politica, siano meglio garantite dal governo Meloni che da un’ipotetica maggioranza dell’attuale sinistra del c. d. campo largo. Non mi riferisco solo al tradizionale sistema di alleanze dell’Italia e alla solidarietà con la resistenza del popolo ucraino, ma anche alle politiche economiche, del lavoro e di finanza pubblica.

Per quanto riguarda le questioni di carattere internazionale è vero che il Pd - dopo l’elezione di Elly Schlein – non ha cambiato linea (anche se in quella precedente ci sta un po’ stretto, come emergerà nella riunione programmata su questi temi) ma sappiamo tutti quali problemi insorgerebbero, per quanto riguarda l’assistenza militare all’Ucraina, da parte della sola coalizione di sinistra ora possibile (ovvero con la presenza attiva del M5S).Ci sono, poi, altri aspetti di difficile comprensione.

Poiché l’attuale gruppo dirigente è molto critico nei confronti dell’azione del partito negli ultimi dieci anni, tanto da attribuirvi il motivo della sconfitta elettorale e da ripudiare le principali scelte compiute stando al governo (si pensi al vilipendio del jobs act), mi pare evidente che quanti – come il sottoscritto – hanno apprezzato, in linea di massima, quelle politiche, si senta stranito e si chieda che cosa farebbe il Pd se tornasse nella ‘’stanza dei bottoni’’. Chi ha condiviso il riformismo del Partito democratico, al governo, come può accettare che quella cultura sia ricondotta ad un raptus ‘’ordoliberista’’, ad un amorazzo innaturale con il capitalismo, ad un cedimento etico e culturale? Che cosa significa per il Pd il voler tornare a sinistra come se le politiche fatte negli ultimi anni fossero di destra? Quali sono le misure assunte dai governi, a guida a partecipazione del Pd, che hanno danneggiato i lavoratori? Anche se non è stata tutta farina del loro sacco, i dem dovrebbero apprezzare il ruolo svolto nella XVII legislatura, dove, soprattutto nell’ultima fase, sostenendo il governo Draghi, il partito ha contribuito in maniera importante a tracciare una strategia che neppure il governo Meloni è stato in grado di abbandonare, almeno negli aspetti essenziali, nonostante che FdI fosse all’opposizione. E che in quel ruolo ne avesse dette di tutti i colori. E’ proprio questa linea di sostanziale continuità con il precedente governo da parte di un partito che ne aveva criticato le scelte politiche, che dovrebbe far capire al Pd di aver governato nel migliore dei modi possibili pur in mezzo a difficoltà eccezionali. E sono state quelle politiche che il Pd rinnega a lasciare all’attuale governo una situazione economico- sociale, in cui il nostro Paese, da sempre ripetente, si trova tra i primi della classe In Europa.

Anziché reggere la coda a Conte in una giornata di mobilitazione contro la precarietà, basterebbe consultare i bollettini dell’Istat, almeno per riconoscere un cambio di marcia nel mercato del lavoro. In termini tendenziali, l’aumento dell’occupazione (+513 mila unità, + 2,3% in un anno) coinvolge i dipendenti a tempo indeterminato (+3,7%) e gli indipendenti (+1,0%), mentre si riduce il numero dei dipendenti a termine (- 2,7%); rispetto al primo trimestre 2022, prosegue il calo dei disoccupati (-76 mila in un anno, - 3,5%) e degli inattivi tra i 15 e i 64 anni (- 558 mila, - 4,3%).

Tale dinamica si riflette nella crescita del tasso di occupazione (+1,5 punti rispetto al primo trimestre 2022) e nella diminuzione dei tassi di disoccupazione e di inattività (- 0,5 e - 1,4 punti, rispettivamente). Ma l’intesa tra Pd, made in Schlein, e i compagni di merende del M5S darà il peggio di sé contro il disegno di legge del governo sulla riforma della giustizia. Ciò proprio nel momento in cui è ricomparso in piazza il fondatore invitando i grillini ad indossare il passamontagna. In sostanza, il Pd si rende disponibile – anche contro il buon senso e le richieste dei suoi amministratori – a rinchiudersi nel «ridotto della Valtellina del giustizialismo» insieme alle procure e alla ANM, per difendere il passepartout dell’abuso d’ufficio. Regalando così ad una destra, che viene rappresentata con la caricatura dell’autoritarismo, una battaglia di libertà e di liberazione dall’unico vero abuso (la presunzione di colpevolezza e la condanna massmediatica degli innocenti) che per decenni ha trasformato il «rendere giustizia» nell’impunità dell’arbitrio.