Filippo Turetta, reo confesso dell’omicidio di Giulia Cecchettin, è difeso dall’avvocato Giovanni Caruso, professore ordinario di Diritto penale nell’Università di Padova.

In un Paese normale non sarebbe, di per sé, una notizia tale da giustificare un articolo di giornale; al massimo la cronaca giudiziaria dedicherebbe a questa informazione il giusto spazio quando riferisce le posizioni o le iniziative delle parti. Invece, in Italia se ne parla. Eccome. Infatti, sono state raccolte un paio di centinaia di firme per invitare l’avvocato Caruso a lasciare la difesa dell’indagato e soprattutto per sollecitare l’Università a dissuaderlo dal portare a termine il suo mandato.

L’Università ha risposto sollecitamente nell’unico modo possibile: il professor Caruso è del tutto libero di scegliere i suoi clienti e autonomo nello svolgimento della sua attività professionale. Una presa di posizione scontata ma importante perché, a volte, può essere necessario ribadire concetti ovvi. Che tanto ovvi, in effetti, non devono essere o che, comunque, non lo sono per tutti se un gruppo di cittadini ha sentito il bisogno di riunirsi virtualmente con lo scopo di privare Turetta dell’avvocato che si è scelto nonostante l’articolo 24 della Costituzione definisca la difesa come un “diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”. Condivido fino in fondo, allora, la presa di posizione di Francesco Petrelli, presidente dell’Unione delle Camere Penali Italiane, che su questo stesso giornale ha definito la petizione diffusa nel caso Turetta “uno schiaffo allo Stato di diritto”. E vorrei aggiungere ancora qualcosa a proposito del ruolo di un professore di Diritto penale nell’Università e rispetto ai suoi studenti. Sono certo che non ci abbia pensato neppure un momento.

Ma se, per ipotesi, subendo le pressioni di una frangia dell’opinione pubblica, il professor Caruso avesse rinunciato all’incarico, che insegnamento avrebbe dato ai suoi alunni? Con quale idea della giustizia e dei diritti fondamentali sarebbero usciti dalla sua aula i futuri giuristi iscritti all’Università di Padova? Mia figlia studia Giurisprudenza nell’Università Statale di Milano. Cosa vorrei per lei? Vorrei che ricevesse – e so che riceve dai suoi professori e dall’Università italiana – lo stesso insegnamento che Alan Dershowitz, uno dei più grandi professori di diritto e avvocati contemporanei, indirizzava ai suoi alunni. «Dico ai miei studenti – ha dichiarato Dershowitz – che se mai si sentissero a loro agio con il ruolo di avvocato difensore penale, sarebbe ora di smettere. Dovrebbe essere una fonte costante di disagio perché hai a che fare con un’incredibile ambiguità morale e ti è stato assegnato un ruolo che non è invidiabile». E del resto il professore americano preparava processi come quello a O. J Simpson o quello a Claus von Bulow ( casi di omicidio e di tentato omicidio sui quali sono stati pubblicati saggi e romanzi e girati film) con l’aiuto dei suoi alunni proprio perché imparassero “sul campo” il significato più profondo dei diritti dell’uomo con cui deve fare i conti il sistema punitivo di uno Stato democratico.

Per Harvard l’insegnamento di Dershowitz e il suo metodo sono stati un fiore all’occhiello. Per l’Università di Padova lo è il professor Caruso.