Che cosa è mai il “garantismo”? Cerchiamo la definizione sulla Enciclopedia Treccani: «Concezione dell’ordinamento giuridico che conferisce rilievo alle garanzie giuridiche e politiche volte a riconoscere e tutelare i diritti e le libertà fondamentali degli individui da qualsiasi abuso o arbitrio da parte di chi esercita il potere». “Garantismo” è un sostantivo che può essere accompagnato da un aggettivo come, per esempio, “necessario”, “dovuto”, “giuridico” e quant’altro. Non si conoscono casi in cui l’aggettivo possa essere usato per creare un ossimoro ovvero per negare o contraddire il significato di quella parola.

Si sa, la lingua di un popolo evolve; qualcuno vuole persino conferire un profilo costituzionale a quella italiana. Nessuno mai si è spinto laddove è arrivato il procuratore generale antimafia Giovanni Melillo nel commentare il saggio L’inganno nel quale Alessandro Barbano ha rivelato, con argomenti inoppugnabili «di che lacrime e di che sangue grondi» lo scettro dei regnatori: nel nostro caso le procure penali ormai divenute padrone assolute del destino e dei diritti dei cittadini.

Secondo Melillo - che ha pubblicato sulla rivista Giustizia insieme il testo revisionato dell’intervento da lui svolto alla presentazione del libro di Alessandro Barbano L’inganno. Antimafia. Usi e soprusi dei professionisti del bene – il libro di Barbano corre il «rischio di ripetere le perversioni del peggior sistema inquisitorio, per di più affiancando ai vizi di questo quelli di una paradossale corrente garantista del più acre populismo».

A dire il vero ci saremmo aspettati che un alto magistrato inquirente, appartenente al Gotha dell’Antimafia, avesse sostenuto i suoi argomenti con delle prove. Barbano, nel suo libro, cita un numero di casi troppo consistenti per essere considerati errori o eccezioni.

Anche perché non si tratta di bagatelle, ma di indagini e processi che hanno attratto per decenni l’attenzione dell’opinione pubblica. Errori tanto gravi che sono possibili solo all’interno di un sistema che non funziona. In effetti il dr. Melillo non smentisce nel suo scritto nulla di quanto viene riportato da Barbano; si limita a considerazioni di carattere generale che alla fine si traducono in un processo alle intenzioni come se l’Autore si proponesse non di ricercare la verità ma di demolire il trentennale apparato dell’Antimafia, il modello di quanto in Italia nasce dall’emergenza e si trasforma in un sistema giudiziario separato e speciale, ma permanente.

Per il procuratore – se abbiamo inteso bene il suo pensiero - contano i risultati nella lotta alla Mafia; ma questo è inaccettabile perché in materia di giustizia non sono ammessi “effetti collaterali” ai danni di persone innocenti. Barbano descrive la pratica delle retate in cui troneggia un noto procuratore. Non è giusto sparare nel mucchio accontentandosi che qualcuno rimanga nella rete, con la logica del colpirne cento per punirne uno. Proprio qui sta il punto: alla magistratura spetta il compito di applicare le leggi, non di sostituirsi – come avviene con la creazione di nuovi reati al legislatore. Poi, ci perdoni il dr. Melillo, ma tra garantismo e populismo c’è un abisso. E’ il kombinat mediatico- giudiziario che sobilla l’opinione pubblica per motivi che nulla hanno a che fare con la giustizia. Anzi è proprio il giustizialismo che vive in simbiosi con il populismo, alimentandosi reciprocamente.

Il Moloch (il termine è adatto) del processo mediatico che anticipa e sostituisce quello che viene svolto nelle aule di giustizia e che comunque infligge una pena anche a chi è innocente, non l’ha mica inventato Barbano. Si è limitato solo a raccontare ciò che avviene quotidianamente sotto i nostri occhi.