C’è una legge universale che stabilisce che data la sciocchezza X nel giro di qualche ora seguirà una sciocchezza Y che equivale a una qualche moltiplicazione di X. La lievitazione dipende da vari fattori: l’umore, il numero di obiezioni ricevute, la capacità di argomentare.

Se poi la sciocchezza originaria riguarda una questione che divide bene i buoni dai cattivi, allora l’incastro mortale è perfetto (lo so che ormai anche “non bevo caffè” causa posizionamenti e liste di imperdonabili mostri da far precipitare giù dalle scale, ma la giustizia e le code di paglia funzionano ancora meglio dei bisticci agroalimentari).

Veniamo all’ultimo esempio di moltiplicazione delle X. Pierfrancesco Majorino il 20 gennaio così commenta la relazione del ministro della giustizia Carlo Nordio: “La guerra contro le # intercettazioni condotta dal ministro # Nordio è assolutamente preoccupante”.

Non mi soffermerò sulla scelta lessicale, sugli hashtag né sulla ingenerosa sintesi di quanto avrebbe detto Nordio, ma passerò precipitevolmente alla risposta di Majorino a uno che lo rimprovera di populismo elettorale.

“Ma quale populismo. E quali voti. Qua il tema è capire se vogliamo sostenere l’azione della magistratura contro le mafie e la corruzione o meno” (il corsivo è mio).

Ora, di Majorino potremmo indubbiamente disinteressarci, ma quello che scrive è purtroppo così comune che rischiamo di fare come Massimo Troisi con la domanda “sei emigrante?”. Per esasperazione, per noia, per pigrizia. La fallacia di rispondere a dubbi e a critiche di metodo con l’adolescenziale “ah, ma quindi sei a favore della mafia?!” è esasperante forse solo quanto la fallacia di domandare con fare passivo aggressivo “se non hai niente da nascondere di cosa ti preoccupi?”. Insomma, la difesa d’ufficio va dal grande fratello delle intercettazioni al razionale e difendibilissimo “o con me, o contro di me”, quindi per i cattivi. In una discussione con queste premesse non può che andare tutto malissimo (e purtroppo non solo in una discussione).

Le intercettazioni, come ogni strumento, vanno manipolate con molta cura. E le indicazioni per farlo ce le abbiamo anche – cioè non ci servono altre leggi, ci serve ragionare e contenere la bava e la furia moralizzatrice – ma spesso in nome della Giustizia e della Verità ci sentiamo principini machiavellici e giustizieri della notte, finché nel rancore della ronda punitiva ci finisce un parente o un amico.

Tutto quello che inizia con una maiuscola e non è una città o un nome proprio è un po’ preoccupante e la cautela doverosa riguarda la pubblicazione, la correttezza delle trascrizioni, la comprensione, la loro rilevanza penale. Perché è ripugnante e ridicolo dover aspettare di finirci in mezzo per rendersi conto che il walk of shame è una primitiva forma di regolamento dei conti, che i verbali sono spesso inesatti e parziali, che si perdono i toni e i significati reali sacrificati in nome di un letteralismo incolpevole ma mortale (questo quando intercettato e trascrittore parlano la stessa lingua, in caso di lingue diverse e di traduzione aggiungiamo questa ulteriore insidia), che possiamo essere persone orribili o avere un senso dell’umorismo nerissimo e non per questo meritare la galera (né la gogna che vi fa sentire bravissimi e buonissimi).

È ripugnante e ridicolo pensare che questo voglia dire essere allegri sostenitori di mafie e corruttori o mafiosi e corruttori. Ed è ripugnante e soprattutto ridicolo questa difesa acritica “dell’azione della magistratura”. Perché dipende, ovviamente. E perché i magistrati, anche in buonafede, sbagliano e si ostinano e perseguono poveri cristi che non c’entrano nulla.

E perché certe regole non ci sono per ostacolare voi buoni, che non avete niente da nascondere e che vivreste in una casa fatta di cristallo perché la vostra anima è pura, ma esistono per ridurre le ingiustizie e gli errori. Che ci saranno sempre ma che non dovrebbero essere giustificati in nome delle vostre buone intenzioni. Perché le buone intenzioni lasciano cadaveri lungo la strada, e su quei cadaveri ci sono i segni di molte coltellate ma non c’è nemmeno la giustificazione di aver vendicato l’assassinio di Daisy Armstrong e non siamo in un romanzo di Agatha Christie.