Chissà se i critici del premierato, inteso come elezione diretta del presidente del Consiglio, si spingeranno a considerare in pericolo pure l’abitudine ormai consolidata dei presidenti della Repubblica di rivolgersi agli italiani non solo attraverso i messaggi alle Camere, previsti dall’articolo 87 della Costituzione, ma anche direttamente la sera di San Silvestro, attraverso la televisione a reti unificate, per augurare il buon anno nuovo. Messaggio, questo, che si aggiunge ad altri cui pure i capi dello Stato ci hanno abituato rivolgendosi a platee più ristrette come gli ambasciatori accreditati in Italia o le cosiddette autorità. Il discorso pronunciato in quest’ultima occasione da Sergio Mattarella, ottavo della lunga serie cominciata nel 2015 col suo primo mandato succedendo a Giorgio Napolitano, si è forse prestato più del solito a diverse e persino opposte letture, persino su uno stesso giornale. Com’è accaduto sul Corriere della Sera con la cronaca di Monica Guerzoni e il commento di Marzio Breda. Una cronaca sensibile all’ «angoscia come filo conduttore, come faro per illuminare le crisi del nostro tempo», pur senza «perdere la via della speranza». Che tuttavia è prevalsa nella valutazione di Breda - prima della sorpresa sul Mes bocciato alla Camera guardando alle «nuove responsabilità» che aspettano l’Italia nel 2024 con la presidenza di turno del G7, «foro di dibattito e di soluzioni» auspicate dal capo dello Stato. Che è sempre attento al quadro internazionale, ma ancor più da quando siamo maggiormente assediati dalle guerre, per esempio, in Ucraina e in Medio Oriente. Esse dimostrano peraltro come la pace non si debba mai dare per scontata, «così come - ha colto e sottolineato Monica Guerzoni - la libertà e la democrazia», con tutto ciò che l’una e l’altra comportano, compreso «l’equilibrio fra i poteri».

Nella combinazione fra libertà, democrazia ed equilibrio dei poteri qualcuno ha avvertito, come in una caccia alle allusioni, la possibilità di scorgere una certa preoccupazione o contrarietà di Mattarella al premierato, pur avendo autorizzato la proposta del governo alle Camere. Beh, in questa interpretazione, e difesa implicita delle sue prerogative minacciate dalla riforma, non so se scorgere più malizia o semplice fantasia, maggiore di quella attribuita criticamente allo stesso Mattarella e ai suoi predecessori, specie Napolitano, nella soluzione di crisi di governo ricorrendo a tecnici come Mario Monti e Mario Draghi, pur di non sciogliere le Camere anticipatamente. Soluzioni che col premierato sarebbero proibite perché il capo dello Stato potrebbe al massimo rivolgersi per un altro e davvero ultimo governo della legislatura ad un parlamentare eletto nello stesso schieramento del presidente del Consiglio eventualmente dimessosi dopo essere stato mandato a Palazzo Chigi direttamente dai cittadini.

Eppure tra i favorevoli al premierato, e convinti che esso non comprometta i poteri del presidente della Repubblica, né indebolisca o rovesci gli equilibri fra i poteri, ha voluto collocarsi persino Matteo Renzi. Che dopo avere perduto il referendum del 2016 sulla sua riforma costituzionale, ed essersi dimesso da presidente del Consiglio per rimanere solo segretario del Pd, si vide rifiutare da Mattarella, da lui praticamente spinto al Quirinale l’anno prima, la richiesta di elezioni anticipate. Un rifiuto dal quale derivarono prima la formazione del governo di Paolo Gentiloni, trasferito dalla Farnesina a Palazzo Chigi, e poi la sconfitta di Renzi anche nelle elezioni ordinarie del 2018, praticamente vinte dai grillini. Se c’era e c’è uno danneggiato dalle larghe prerogative assuntesi dal presidente della Repubblica, più che assegnategli esplicitamente dalla Costituzione, questi era ed è proprio Renzi, che pure - ripeto - pensa di non vedere compromesse le libertà, diciamo così, che i presidenti si sono presi nella gestione delle crisi di governo. Per sapere cosa ci sia davvero dietro il silenzio o la discrezione impostasi da Mattarella sul destino dei suoi poteri con la riforma bisognerà attenderne l’eventuale approvazione. Se davvero il presidente della Repubblica dovesse sentire diminuite o compromesse le sue prerogative, dovrebbe essere quanto meno tentato dall’idea di non concludere alla scadenza ordinaria il suo secondo mandato, accelerando la successione. In caso contrario rimarrebbe tranquillo e sereno al suo posto, come i promotori della riforma hanno auspicato o - direbbe qualche malizioso- finto di auspicare.