«Dobbiamo uscire dalle aule dei tribunali e partecipare al dibattito pubblico per spiegare ai cittadini che il drastico ridimensionamento del controllo giudiziario prima di ogni altra cosa colpisce l'effettività dei loro diritti». E poi: «Dobbiamo farlo, possiamo farlo e sappiamo farlo, perché siamo in possesso delle chiavi di lettura necessarie per capire la direzione che si sta prendendo e le conseguenze negative che ne verranno, mettendo in campo le nostre migliori risorse». E, dulcis in fundo: «Toccherà a noi tenere accesa la luce quando il buio si farà più fitto».

Qualcuno, leggendo queste frasi, potrebbe pensare che si tratti di parole rubate al programma di un nuovo partito, di un nuovo movimento, insomma, di un soggetto in cerca di consensi su quella che un tempo si sarebbe chiamata una “piattaforma politica”.

Niente di tutto questo: quelli che avete appena letto sono alcuni estratti - in effetti c’è molto altro - della “mozione conclusiva” dell'ultimo congresso di Area Dg, la corrente progressista dei magistrati italiani che si è riunita qualche giorno fa a Palermo alla presenza, pensate un po’, di Elly Schlein e Giuseppe Conte, ovvero i due maggiori leader dell’opposizione che sono andati a rendere il “doveroso omaggio” alla corrente di “sinistra” delle toghe.

Intendiamoci, il dibattito offerto da Area Dg, soprattutto in tempi di aridità e pochezza politica, è stato di assoluto livello. È chiaro che Area è uno dei pochi “soggetti” che ha ancora una lettura complessa, articolata e (in una parola) politica della realtà. È questa la sua forza ma forse è anche il suo limite.

E però ci chiediamo: davvero il compito dei magistrati è quello di uscire dalle aule dei tribunali per partecipare al dibattito pubblico? E ancora: è legittimo che un’associazione di magistrati cerchi il consenso dei cittadini su battaglie politiche così definite e così critiche nei confronti di una maggioranza eletta dal popolo sovrano?

Intendiamoci, qui non si tratta di discutere la qualità e il valore delle loro battaglie, qui si discute della legittimità delle toghe di condurre queste battaglie senza che questo rappresenti un graffio nel nostro fragile equilibrio tra poteri, un sfilacciamento e uno strappo nel tessuto della magistratura italiana, vista non più (o non solo) come garante della giurisdizione ma come “istituzione engagé”.

Se è infatti vero che la costituzione garantisce libertà di espressione per ogni persona, è altrettanto vero, però, che difficilmente un magistrato così “politicizzato” che un giorno si ritroverà a giudicare un cittadino (e magari un cittadino impegnato in politica), oppure a “istruire” un processo, potrà apparire davvero imparziale e libero da preconcetti.

E qui torniamo alla questione della giudice di Catania che non ha convalidato il fermo dei 3 migranti tunisini. Il Giornale ha scovato un paio di sbandate anti-salviniane postate “ingenuamente” su Facebook. Un precedente che oggi pesa come un macigno sulla legittima decisione di quella magistrata.

Insomma, è evidente che “uscire dalle aule dei tribunali" - anche virtualmente - come invoca il documento di Area non è mai una buona idea. Anche perché in quello slogan sembra di risentire l’eco dei versi di Majakovskij, ricordate? “Non rinchiuderti, Partito, nelle tue stanze”. Ma era il 1924 e quel partito era il Pcus…