Peggio, francamente, non potevano essere ricordati i 45 anni trascorsi dal sequestro di Aldo Moro, rapito fra il sangue della sua scorta mentre si recava alla presentazione parlamentare del quarto governo di Giulio Andreotti. Che lui da presidente della Dc aveva contribuito a far formare, interamente composto da democristiani e con un programma concordato anche con i comunisti per ottenerne la fiducia, non più l’astensione, o “non fiducia”, di quello precedente.

A Palazzo Chigi si sono addirittura dimenticati il 16 marzo scorso della ricorrenza lasciando soli in via Fani il sindaco di Roma e il presidente della Regione. La corona di fiori del governo è arrivata a cerimonia quasi ultimata, come ha raccontato il Corriere della Sera.

Maria Fida Moro, una dei figli dello statista ucciso dalle Brigate rosse dopo 55 giorni di drammatica prigionia, ha voluto ricordare a suo modo il padre lamentando ch’egli a 45 anni dalla sua morte non risulti ancora ufficialmente, a termini di legge con relativo indennizzo, una vittima del terrorismo, pur coincidendo con la ricorrenza del suo assassinio il giorno della memoria delle vittime, appunto, del terrorismo. Quanto meno «vi chiedo di cambiare data», ha chiesto Maria Fida. Che oggi ha 76 anni e non ha ancora chiuso i suoi conti evidentemente con uno Stato che non seppe - per alcuni addirittura non volle - difendere davvero suo padre, proteggendolo con un’auto blindata di ben scarsa qualità e con una scorta che - pace all’anima di chi ci rimise la vita - usava viaggiare con i mitra nel bagagliaio, anziché fra le mani.

Sempre nella ricorrenza dei 45 anni dalla più grande tragedia politica della Repubblica i giornali del gruppo Riffeser Monti - Il Giorno, il Resto del Carlino e la Nazione - hanno pubblicato come uno scoop il testo di un articolo polemico con gli Stati Uniti scritto da Moro per Il Giorno allora di proprietà dell’Eni, e diretto da Gaetano Afeltra, durante le trattative per la formazione del quarto governo Andreotti. Nel quale il Dipartimento di Stato americano aveva espresso il timore, diciamo così, che potessero entrare i comunisti, o nei rapporti col quale il Pci allora guidato da Enrico Berlinguer potesse acquistare più peso.

L’articolo di Moro, in cui si sospettava sostanzialmente che fra i destinatari delle pressioni americane ci fosse l’Unione Sovietica, come per sollecitarne l’intervento sul Pci per non compromettere gli equilibri politici concordati per l’Europa tra i vincitori della Seconda guerra mondiale, non sarebbe stato pubblicato - sempre secondo lo scoop dei giornali summenzionati - per un rifiuto di Afeltra, e forse anche dell’editore.

Da questo scoop ha voluto cogliere l’occasione Achille Occhetto per sostenere, in una intervista del 17 marzo a quei giornali titolata in prima pagina Moro ostacolato da Usa e Urss, che se quell’articolo - il cui originale era fra i documenti sequestrati con lo stesso Moro dai brigatisi rossi - fosse stato diffuso prima del rapimento la linea della famosa “fermezza” del Pci contro i terroristi avrebbe potuto cambiare. Dal rifiuto di ogni forma di trattativa, e di riconoscimento delle Brigate rosse, il Pci avrebbe potuto passare alla ricerca di ogni mezzo possibile per salvare la vita dell’ostaggio in quanto campione della “sovranità nazionale”.

Come se Moro, cinque volte presidente del Consiglio, ministro degli Esteri, segretario prima e presidente poi del maggiore partito italiano avesse avuto bisogno di quell’articolo polemico col Dipartimento di Stato americano - e nascosto da sostanziali «depistatori», secondo Occhetto, dell’informazione e del potere - per essere considerato un uomo fedele alla Costituzione e difensore quindi dell’indipendenza nazionale. Roba semplicemente da matti, con tutto il rispetto per un vecchio e provato militante della sinistra italiana come Occhetto. Che purtroppo è caduto semplicemente in un infortunio, a sua insaputa, perché non è per niente vero che quell’articolo «la scatola nera del caso Moro» l’ha definita Marcello Veneziani sulla Verità - fu rifiutato. Figuriamoci il mio compianto amico Afeltra, che semplicemente lo venerava, nei panni di censore verso il suo più illustre e autorevole collaboratore.

Quell’articolo non fu pubblicato semplicemente per decisione dello stesso Moro. Che vi «rinunciò più che altro per evitare di aprire una polemica personale con gli Stati Uniti», è scritto a pagina 136 in un libro documentatissimo di Andrea Ambrogetti su Aldo Moro e gli americani, pubblicato nel 2016 per le edizioni Studium di Roma e ristampato nel 2018.

In una nota a margine di quel passaggio sulla mancata pubblicazione dell’articolo da cui Occhetto si è mostrato così sorpreso, si indica la fonte del testo “completo” ma parzialmente riportato e commentato dall’autore del libro. Si tratta di un altro libro - pagina 144 - pubblicato nel 1999 dagli Editori Riuniti a firma dello stesso Moro, contenendo scritti e discorsi del compianto presidente della Dc, titolato La democrazia incompiuta.

Povero Moro. Quanti torti, o abusi, come preferite, deve ancora subire a 45 anni dalla sua tragica fine, bloccato dall’assalto brigatista anche nella sua seconda scalata al Quirinale, dopo quella fallita nel 1971 per l’opposizione congiunta dei dorotei e fanfaniani nella Dc e dei repubblicani di Ugo La Malfa all’esterno. Anche questo, per favore, va ricordato di Moro, mancato successore di Giuseppe Saragat prima e di Giovanni Leone poi.