Una centrale operativa autonoma, una sorta di “ufficio affari riservati” che operava nel cuore della Direzione nazionale antimafia per fabbricare dossier da inviare direttamente ai giornali. Messa così potrebbe quasi sembrare la trama di un inedito di Ian Fleming; ma spesso, è noto, la realtà supera la fantasia, e quel che sta emergendo in queste ore, grazie alla denuncia del ministro Crosetto, assume sempre più la forma di un realissimo ed efficientissimo sistema di “sputtanamento” che aveva un unico scopo: condizionare la vita politica del paese.

Certo, qualcuno penserà, e scriverà, ne siamo certi, che in fondo non c’è nulla di male nel dossierare le “malefatte” dei politici. E che scavare nei conti correnti di parlamentari, giornalisti e imprenditori, senza alcun mandato da parte di una procura, sia tutto sommato accettabile nel paese della corruzione, del “magna, magna” e della mafia. E sì perché la scusa per fare a pezzi lo Stato di diritto è sempre quella: “siamo la patria della mafie e le garanzie sono trovate da azzeccagarbugli”. E chi osasse alzare il ditino e provare ad abbozzare una protesta, ecco bello e pronto il “santino di Falcone e Borsellino”, usati entrambi senza alcuno scrupolo dai carnefici di diritti e libertà per perseverare nella propria attività di demolizione del nostro stato di diritto. Come se Falcone non avesse saputo che la prima regola di un magistrato è quella di proteggere le nostre garanzie costituzionali.

Insomma, sarebbe un vero scempio far passare in cavalleria una notizia tanto grave. Per quel che ci riguarda, visto che non abbiamo risposte ma molti “dubbi”, non possiamo far altro che porre un paio di domande. La prima: possibile che negli uffici di via Giulia - sede della Dna - popolati da abilissimi magistrati, nessuno si fosse mai accorto del lavoro di quel Maresciallo? Eppure ogni sua “ricerca” ha lasciato tracce evidentissime nel sistema informatico di quegli uffici. E d’altra parte il maresciallo pizzicato a preparare quei dossier ha dichiarato, con assoluto candore, di aver solo svolto il proprio dovere. Come dire: “Ero lì per quello…”. Ecco, possibile, ci chiediamo, che nessuno si senta in dovere di replicare, di spiegare?

E poi: da quanto tempo quell’ufficio preparava polpette avvelenate da inviare ai giornali? E quali altri politici e giornalisti sono finiti nel mirino di quell’ufficio?

Domande che pongono questioni assai inquietanti, perché quel che è accaduto colpisce il cuore stesso della nostra democrazia. E il sostanziale silenzio di politica e giornali non fa altro che alimentare il sospetto che nei gangli vitali del Paese vi sia qualcosa di profondamente marcio, corrotto e fuori dal controllo democratico.