PHOTO
GIUSEPPE SALA SINDACO DI MILANO
Non so se Milano sia frenetica e senza pietà, come diceva Vincenzo nella canzone di Alberto Fortis. Ma certo è dinamica. E le indagini penali in corso sulla sua vivace urbanistica – comunque finiscano – hanno un impatto generale.
Sia chiaro: è un copione già visto. Le indagini, la diffusione di notizie, le strumentalizzazioni e le derive demagogiche, gli effetti anticipati rispetto alle sentenze. Così non va. E devono essere riaffermati i principi garantistici. Ma – fermo tutto ciò – sarebbe sbagliato ignorare le indicazioni che la vicenda milanese fornisce sui possibili punti deboli del sistema attuale di gestione del territorio urbano.
I punti deboli si rendono evidenti a diversi livelli. A livello legislativo, quanto alla disciplina di modi e contenuti degli interventi. A livello delle scelte urbanistiche di una città, di competenza delle amministrazioni locali. A livello di gestione delle pratiche, di competenza degli uffici.
Cominciando dal livello normativo: in una descrizione astratta, tutto sembra filare. C’è una pianificazione urbanistica generale da rispettare ( insomma, il vecchio Prg, con tutti i “restyling” che ha avuto). A scendere, una pianificazione attuativa quando ce n’è bisogno (cioè per gli interventi più consistenti e che richiedono opere specifiche). E poi ci sono gli interventi edilizi, che ovviamente devono essere conformi alla pianificazione. Interventi i cui tipi sono definiti uno per uno (dalla manutenzione ordinaria alla nuova costruzione). Ogni tipo di intervento, un titolo edilizio (permesso di costruire, Scia, Cila). Ogni titolo, una disciplina (con propri modi e tempistiche procedimentali). Ogni intervento senza titolo, una specifica sanzione (economica o demolitoria).
In realtà, non è affatto così. Non lo è perché già nelle norme queste corrispondenze si perdono. E certo non hanno contribuito alla chiarezza né un legislatore statale che, nel corso degli anni, ha modificato a mesi alterni il Testo unico dell’edilizia; né leggi regionali sempre a rischio di incidere sull’uniformità dell’ordinamento.
E poi perché non è facile inquadrare le trasformazioni di una città. La pianificazione urbanistica generale finisce spesso per essere vecchia e troppo rigida. Gli interventi davvero importanti devono quindi avere la possibilità di “piegarla”: di solito non sono previsti né prevedibili. E sono interventi d’impatto, generano carico urbanistico: dunque ben si giustifica che alla ricchezza che producono partecipi il Comune che li rende possibili ( e che deve preoccuparsi di far fronte ai loro effetti). La definizione degli interventi edilizi, inoltre, ha perso molto del suo significato: in particolare la ristrutturazione è diventata un’astrazione, fatta di volumi solo da quantificare, spostare, riaggregare. E sono consistenti i premi in metri cubi in più riconosciuti per legge agli interventi sull’esistente, anche quando viene del tutto sostituito.
Insomma, tra interventi in deroga o in variante alla pianificazione, interventi diretti convenzionati al posto di piani attuativi, interventi incentivati di rigenerazione urbana e simili, si è persa la struttura del sistema, nel quale ora coesistono meccanismi di varia natura.
In un quadro normativo così “magmatico” si trovano dunque a operare amministratori e funzionari, e vengono compiute le scelte urbanistiche e gestite le pratiche. È un quadro con ampi spazi di discrezionalità, e in cui si spostano interessi rilevantissimi. Ma che presenta zone d’ombra, perché coperte dal tecnicismo e dall’incertezza. E nel quale trovano posto i rapporti tra chi costruisce e chi consente di costruire, l’attività delle figure intermedie, le pressioni. È qui che – a prescindere dalle vicende milanesi – possono avvenire reati. Comportamenti individuali di rilevanza penale possono avallare interpretazioni strumentali e insostenibili, dare avvio a grandi interventi edificatori e produrre effetti difficilmente reversibili.
Le indagini penali spostano i sofisticati discorsi urbanistici a un livello molto più brutale, e pongono interrogativi immediati di grande impatto, del tipo: è giusto fermare i cantieri? E in attesa di che cosa? Qui sta il punto. Con tutte le riserve sui modi e sugli effetti di indagini penali che di sicuro producono conseguenze pesanti su investimenti, attività costruttive, imprenditori, acquirenti di appartamenti diventati a rischio, e in generale su tutte le persone comunque coinvolte ( tanto più se fossero sottoposte a misure cautelari ingiustificate), questa è anche un’occasione. Le indagini milanesi sono cioè utili alla consapevolezza collettiva delle trasformazioni urbanistiche in atto e della loro problematicità: il che è una buona cosa.
Un’occasione non casuale. Eventuali fatti corruttivi specifici andranno concretamente provati. Ma la tutela del territorio passa anche attraverso il diritto penale. Un reato come la lottizzazione abusiva punisce le trasformazioni dei terreni in contrasto con le norme e con i piani urbanistici. Non c’è insomma un’invasione di campo: non può essere negato al giudice penale di accertare quali siano le regole urbanistiche per verificarne il rispetto.
Beninteso, non dobbiamo leggere l’urbanistica con le lenti della Procura. Siamo nel diritto amministrativo. Non spettano alla giustizia penale né la definizione delle norme, né il vaglio delle scelte urbanistiche, né la decisione su come organizzare gli uffici e le procedure. Spetta ad essa di individuare e perseguire i responsabili di possibili reati.
Ma gli eventuali comportamenti illeciti individuali si inquadrano in un sistema organizzato e complesso, ed è questo sistema che è opportuno riconsiderare.
Insomma, i piani del penale e dell’amministrativo si toccano ma restano diversi. Ed è nell’ambito del diritto amministrativo che si deve dare corretto inquadramento agli interventi sul territorio, a cominciare da quelli già assentiti e in corso di realizzazione, individuando le regole e il modo – se vi sia – per uscire dalla situazione che si è creata.
A sindacare sulla legittimità dell’operato amministrativo sarà poi un altro giudice: quello amministrativo, non quello penale.
È l’inquadramento amministrativo della problematica che può infine fornire gli elementi di conoscenza necessari a chi voglia intervenire a livello legislativo. Anche se, quando il legislatore – statale o regionale che sia – interviene in materia, c’è quantomeno da incrociare le dita…