Il 26 aprile scorso la Commissione europea ha formulato una proposta organica ( oltre 90 pagine) di revisione delle regole del patto di stabilità. Il governo tedesco, su quella base, ha fatto una specie di contro- proposta ( 3 pagine). Tralasciando i dettagli, ne discuto gli aspetti logici. Intanto parto dal presupposto che si sia d’accordo con il partecipare all’Unione europea ( viceversa ogni questione su tale materia diventa irrilevante o intrattabile). Poi: servono delle regole comuni in Europa? Bisogna rispondere di sì a questa domanda, perché in caso contrario si ricade, come sopra, nel rifiuto della stessa costruzione europea ( pensate agli effetti di comportamenti disordinati di un paese membro sulla sostenibilità della finanza pubblica di un altro paese).

Se fin qui c’è accordo, si può affrontare il punto cruciale del cambiamento delle regole. Sembrerebbe intuitivo, a questo punto, fare il confronto tra le implicazioni delle nuove proposte e il funzionamento dei vecchi schemi. Ma, se ci pensate bene, questo approccio complica molto la disamina della questione, presupponendo la conoscenza di troppi complicatissimi sistemi di regole.

È più importante domandarsi quali caratteristiche debbano avere le regole per una equilibrata evoluzione delle grandezze rilevanti di finanza pubblica dentro l’Europa. In astratto vedo due grandi tipologie di regole. La prima riguarda regole semplici, basate su variabili osservabili e, quindi, di facile applicazione operativa; inoltre, per le stesse caratteristiche prima menzionate, tali regole non sono eludibili e le deroghe eventualmente previste devono essere tipizzate e quantificate senza ambiguità.

Il secondo insieme di regole è costruito per soddisfare gli obiettivi di finanza pubblica in un numero elevatissimo di casi differenti. Sono regole complesse perché la realtà dei singoli partecipanti all’Unione europea è articolata. Queste regole prevedono eccezioni, deroghe, affinamenti applicativi, perché sono moltissimi gli eventi imprevedibili che possono mutare la posizione fiscale dei diversi Stati durante il ciclo economico. E, quindi, sono basate su variabili non osservabili che restituirebbero un quadro fedele della vera natura delle economie europee. La proposta della Commissione è orientata a farci migrare dall’insieme di regole specifiche e complicate del passato, a un insieme di regole semplici e facilmente implementabili, assegnando a ciascun Paese membro maggiore responsabilità e controllo nel disegnare il percorso degli aggiustamenti fiscali.

Tutto bene? Se così fosse non si sarebbero levate forti critiche e da più parti. Non mi stupisco, ma per una ragione logica e non perché, come abbiamo letto, le nuove regole sono contro o a favore di questo o quel Paese ( una lettura decisamente errata). Bisogna accettare che ci sia un conflitto insanabile tra regole semplici e regole complicate: le

prime hanno i vantaggi che abbiamo descritto, ma tagliano corto sull’insieme di fattori che determinano in uno specifico punto del ciclo la posizione fiscale di uno stato. Per fare un esempio, diciamo che bisogna ridurre il deficit di 5 decimi l’anno. Bene, lo capiscono tutti. Ma se in quell’anno un disastro naturale o molti scioperi generati da una legittima e aspra conflittualità politica hanno ridotto il Pil del 2%, tagliare l’indebitamento di cinque decimi diventa esercizio pro ciclico e peggiora le cose: scende il PIL, scende la spesa perché deve scendere, il PIL scende ancora di più mettendo a repentaglio la stessa discesa del rapporto di finanza pubblica, con effetti recessivi che allontanano piuttosto che avvicinare l’obiettivo. Quindi, in astratto, regole complicate che prevedano questi eventi e tanti altri e ne neutralizzino gli effetti convengono rispetto a regole semplici. D’altra parte, le regole complicate - che mirano alla perfezione sulla terra - sono sovente poco comprensibili e basate su variabili che vogliono cogliere gli effetti del ciclo e, pertanto, si basano su grandezze non osservabili. Riguardo a queste, c’è un’importante corpus di letteratura economica a sostegno della loro rilevanza ( è scorretto stigmatizzarle come “metafisica”): ma, purtroppo, sono di difficile quantificazione pratica. Il risultato finale è che spesso regole complicate sono eludibili e derogabili in modo strumentale. Quindi non sono credibili: e la mancanza di credibilità è l’arma letale che uccide le regole stesse.

I tedeschi, con il loro recente non- paper alternativo sul cambio delle regole, hanno scelto con decisione la strada della semplificazione. Mi piace, anche se mi sembra ancora troppo complicata. Forse, prendendo spunto dal non- paper, qualche coraggioso aggiustamento sulle proposte della Commissione si potrebbe utilmente ottenere. Per esempio, immaginando una certa evoluzione del prodotto lordo (“osservabile”) si potrebbe fissare una riduzione minima del rapporto deficit- Pil, riduzione crescente al crescere del rapporto debito- Pil, con la clausola esplicita che se il prodotto stesso non cresce sopra una certa soglia la regola viene sospesa per quell’anno. Salvo poi recuperare nel periodo successivo una frazione di quanto non ottenuto. L’idea della Commissione di assegnare ai singoli Paesi la costruzione di un piano di aggiustamento di medio- lungo periodo, con piena responsabilizzazione dello stesso paese membro, mi pare condivisibile, come è condivisibile un’altra fondamentale suggestione: le regole possono essere lasche ( la faccia cattiva è inutile) ma non sono derogabili ( niente furbi). Impostata così, la discussione sul nuovo patto di stabilità mi sembra potenzialmente molto fruttuosa. Anche perché c’è bisogno di partecipazione e consenso sul nuovo schema di funzionamento della finanza pubblica in Europa.