«Bisognerà compiere una riflessione sulla Rai» hanno tuonato all’unisono Matteo Salvini e Giuseppe Conte al termine di un Festival di Sanremo record di ascolti e di polemiche. Lo hanno fatto per motivi diversi, ma entrambi fedeli alla regola aurea dell’ingerenza politica. Non sono stati primi e non saranno certo gli ultimi a voler imporre lo sgraziato verbo dei partiti tra i corridoi di Viale Mazzini.

Il servizio pubblico televisivo è da sempre terra di conquista e spartizione, un’arena da occupare manu militari e dove sistemare i fedelissimi, spesso con scarsa attenzione alle professionalità. Si chiamava e si chiama ancora lottizzazione, un sistema che raggiunse la “perfezione” negli anni 80 del secolo scorso quando Rai1, Rai2 e Rai3 erano i rispettivi bastioni e ripetitori di Dc, Psi e Pci. La fine della prima repubblica a colpi di avvisi di garanzia e la scesa in campo di Silvio Berlusconi e del suo conflitto d’interessi hanno rotto l’antico equilibrio e sparigliato le carte in tavola, ma la Tv di Stato è rimasta sempre quel campo di battaglia tra le forze politiche. Anzi, nell’ultimo ventennio un clima di isteria censoria e deteriore ha caratterizzato continuamente lo scontro digitale tra destra e sinistra.

Non è un bel vedere e, in forme più o meno ipocrite, in molti nel corso degli anni hanno chiesto alla politica un deciso passo indietro e una riforma complessiva che dia più autonomia alla Rai liberandola dall’abbraccio fatale. Il modello che viene tirato in ballo con ossessiva regolarità è quello della gloriosa Bbc, il servizio radiotelevisivo britannico, noto al mondo per l’imparzialità della linea editoriale e la qualità assoluta dei suoi prodotti. Un’evocazione che fa quasi tenerezza se uno pensa al nostro Paese.

Ma come funziona la governance della Bbc ed è vero che è una realtà del tutto autonoma dal mondo politico britannico?

Non proprio, almeno dal punto di vista formale. Il broadcast è infatti controllato da due organismi, il Trust e l’Executive Board. Il primo stabilisce la linea editoriale in base all’interesse pubblico ed è diretto da ’professionisti che hanno grande esperienza manageriale, giornalistica e artistica nel settore audiotelevisivo e inoltre ha il compito di nominare l’Executive Board. Che si occupa della realizzazione degli obiettivi editoriali e industriali e anche dell’aspetto amministrativo. Ma a nominare i membri del Trust non è un ente autonomo, bensì la stessa Casa reale che tira fuori i nomi sotto suggerimento dei ministri interessati. Applicato al nostro paese questo modello potrebbe mai funzionare? Immaginiamo una sorta di comitato scientifico che abbia gli stessi poteri del Trust britannico nominato dal Capo dello Stato in base alle indicazioni del ministero competente e sovrapponiamo questa configurazione alla situazione italiana. Beh, non cambierebbe assolutamente nulla, i partiti continuerebbero a imperversare mettendo il becco un po’ ovunque, proprio come accade adesso. Tv e radio di Stato britanniche sono indipendenti dal potere politico per propria formazione culturale: mai conservatori e laburisti oserebbero nominare dirigenti e amministratori in base alla loro supposta fedeltà ed è ugualmente impensabile che i membri del governo o dell’opposizione chiedano la sospensione di quel programma, di quel conduttore, di quel giornalista. No, la Rai non è la Bbc e ,lasciate ogni speranza, non lo sarà mai.