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I carabinieri lo hanno portato via dalla clinica dove si stava curando, a volto scoperto e senza manette, accompagnandolo a braccetto, quasi con delicatezza, sotto una pioggia fine e in un silenzio composto. Attorno non c’è il ronzio degli elicotteri, non ci sono le sirene che urlano e gli stessi ufficiali dei Ros rimangono defilati, appena nascosti dietro il prigioniero eccellente.
Le immagini dell’arresto di Matteo Messina Denaro, la primula rossa di Cosa nostra, l’ultimo grande latitante dei corleonesi, colpiscono per la loro sobrietà e discrezione. Qualcosa di sorprendente in un paese assuefatto al giustizialismo mediatico come il nostro.
Torniamo indietro di trent’anni e in una dissolvenza incrociata sfumiamole con quelle della cattura del “capo dei capi” Toto Riina: sembrano due universi differenti. I meno giovani ricorderanno i cortei delle volanti, l’esultanza dei Ros che spuntavano dai finestrini brandendo le pistole, i cori da stadio sotto la questura, il passamontagna del capitano Ultimo in quello che sembrava uno show degno della polizia sudamericana dopo la presa di un grande boss dei narcos. Stessa musica tre anni dopo per Giovanni Brusca scaraventato in manette dentro la berlina blindata e insultato dalla folla inferocita che lo avrebbe linciato seduta stante. Più recentemente, appartiene al quel filone truculento l’arresto dell’ex brigatista Cesare Battisti atterrato dal Brasile all’aeroporto di Ciampino per poi essere esibito come un trofeo di guerra dai ministri “gialloverdi” Salvini e Bonafede.
Il breve video di Messina Denaro che senza fare una piega entra nel van nero che lo porterà in carcere segna invece una cesura importante da quel mondo fatto di esasperazione e propaganda. Forse perché la Mafia oggi fa molta meno paura rispetto a tre decenni fa quando le strade della Sicilia erano ricoperte di sangue e i corleonesi mettevano a ferro e fuoco il Paese, o forse perché la cultura del garantismo e del rispetto della dignità di tutti, anche dei criminali più feroci, non è poi così minoritaria.
«Catturare un latitante pericoloso senza fare ricorso alla violenza e senza manette è un segno importante per un paese democratico», ha spiegato il procuratore di Palermo Maurizio de Lucia, al quale deve andare tutto il nostro plauso per averci ricordato che la giustizia italiana non ha bisogno di spettacoli forcaioli da dare in pasto al popolino per essere autorevole.