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Netanyahu
Netanyahu - ormai è quasi certo - farà esattamente quel che Hamas sperava facesse: avvierà un "attacco senza precedenti”, un’operazione vendetta che colpirà donne, uomini e bambini di Gaza. Lo farà perché è disposto a sacrificare migliaia di palestinesi innocenti pur di “eliminare” gli assassini di Hamas i quali, invece, beneficeranno di questa carneficina annunciata per arruolare nel loro infame esercito altre migliaia di giovani palestinesi.
Eppure Netanyahu, che ora ha giurato di cambiare la storia del Medio Oriente «per i prossimi 50 anni», ha avuto tempo per riflettere, per cercar di capire che avrebbe dovuto fare esattamente il contrario: prendere altro tempo e provare a riallacciare i fili logori del dialogo con quel che rimane di Fatah o con qualsiasi altro interlocutore palestinese che in questi anni abbia provato a resistere alla politica sanguinaria di Hamas, al suo fanatismo religioso.
Ma non è certo un caso che Netanyahu abbia scelto la via della guerra totale. Del resto solo in questo modo può pensare di salvare la sua (improbabile) permanenza al potere. La verità è che Hamas e Netanyahu hanno bisogno l’uno dell’altro. E’ un gioco degli specchi, è il più classico e logoro schema degli opposti estremismi che serve solo a legittimare i due nemici. Guai se si aprisse la porta del dialogo, guai se al fragore delle armi qualcuno contrapponesse la forza della politica. Entrambi uscirebbero di scena: solo la guerra garantisce infatti la loro esistenza.
E’ una “complicità” invisibile ma saldissima e presto le immagini tremende dei rapimenti e delle esecuzioni ad opera dei sicari di Hamas, lasceranno il posto alle lacrime delle donne di Gaza: un film dell'orrore che non avrà mai fine.