Silvio Berlusconi non c’è più. Luca Tescaroli sta andando a fare il capo procuratore a Prato. Il “superpoliziotto” Francesco Nannucci, l’uomo della Dia con l’ossessione del leader di Forza Italia, è stato trasferito a Lucca. Si dovrebbe navigare in acque tranquille a Firenze e archiviare l’inchiesta più surreale della storia giudiziaria italiana, quella sui mandanti di stragi vere o fallite del biennio 1993-94... Invece no. Perché sopravvive ad ogni piccolo o grande terremoto Marcello Dell’Utri, fiero ottantaduenne un po’ ammaccato per la salute fisica e quella giudiziaria. E allora, pestiamo duro su di lui. Portiamogli via quel che gli rimane della generosità di un amico caro e perseguitato. Un amico con i sensi di colpa, perché nessun inquisitore si sarebbe mai accorto dell’esistenza del capo di Publitalia e mai gli avrebbe messo le manette ai polsi. E nessun tribunale si sarebbe mai permesso di insultarlo con una condanna per “concorso esterno”. È stato trascinato giù insieme a Berlusconi, per “colpa” di Berlusconi e dell’ossessione che il leader di Forza Italia e tre volte presidente del Consiglio ha rappresentato per una parte dell’Italia e della stessa magistratura.

Così a Firenze si continua a lavorare sulla vita di Marcello Dell’Utri. Si coglie l’occasione di un’omissione di denuncia per regali o prestiti ricevuti, o entrate per la vendita di un immobile. Tutte operazioni trasparenti, ma l’antica legge Rognoni-La Torre su una mafia che non c’è più, o se c’è dovrebbe chiamarsi in altro modo, prescrive un bianco più bianco del bianco, per chi abbia subito una condanna per quel tipo di reato. Anche se “esterno”, il mafioso per dieci anni dopo la condanna deve segnalare ogni movimento dei propri conti correnti. Se non lo fa incorre in un piccolo reato, prescrivibile in sei anni. Così, a una richiesta dei pm fiorentini Luca Turco e Luca Tescaroli (colpo di coda prima del trasferimento) di sequestrare 20 milioni di euro, la gip ne concede solo 10 e 840.000. Un po’ da sottrarre a Dell’Utri e un po’ a Miranda Ratti, ex moglie, dopo la separazione del 2020, cui però i magistrati non credono perché pare chi i due spesso pranzino insieme. Poi, poiché sui loro conti correnti non esiste la cifra, ecco che si va a rosicchiare in casa Berlusconi, dove gli eredi ancora dispongono di quel tesoretto di 30 milioni che Silvio ha lasciato in eredità all’amico Marcello. Prendiamone un po’ anche di lì, dunque.

La notizia arriva un po’ per caso insieme a un’altra che pare smontare la prima, che viene da Palermo e che finisce in coda agli articoli dei vari Marco Lillo del Fatto, Lirio Abbate di Repubblica e il commento dell’informatissimo Giovanni Bianconi del Corriere. Perché a Palermo il tribunale ha respinto la richiesta del pm di sottoporre Dell’Utri a sorveglianza speciale e di sequestrare i suoi beni. L’ipotesi dei fiorentini, molto dietrologica, suppone, del tutto senza riscontri, che l’ex presidente di Publitalia ricattasse il suo leader. Silenzio omertoso in cambio di denaro. I giudici di Palermo smontano il teorema: “Non può presumersi la natura illecita di entrate comunque tracciate, e delle quali i protagonisti hanno fornito una spiegazione non smentita dalle evidenze”.

Ma che cosa nasconde questo silenzio? Quali segreti inconfessabili custodisce Marcello Dell’Utri, tali da incastrare Silvio Berlusconi in qualcosa di enorme come quello di esser stato, per la presa del potere, mandante di stragi? Occorre ricordare subito che, fin da quando Luca Tescaroli era un semplice pubblico ministero di Caltanissetta, lui e i suoi colleghi ci hanno provato già quattro volte. E per quattro volte, su richiesta delle stesse procure, l’inchiesta è stata archiviata in Sicilia. Poi nel 2017 il pm è arrivato come procuratore aggiunto a Firenze, una della città, insieme a Milano e Roma, delle bombe del 1993. E ci ha riprovato. Pervicacia? Ossessione? Il punto di partenza è sempre lo stesso, un’intercettazione in carcere del boss Giuseppe Graviano su una “bella cosa ” che gli sarebbe stato richiesto di fare. Il resto è tutto intuizione, deduzione, sospetto, fantasia politica antistorica. Forza Italia sarebbe nata per favorire Cosa Nostra in Parlamento con provvedimenti in favore della mafia, come per esempio l’abolizione del 41-bis nelle carceri. E già, ma fu proprio il primo governo Berlusconi invece a rendere permanente quel provvedimento che era fino a quel momento provvisorio e contingente. Poi si costruiscono storicamente due avvenimenti del 1994. Il fallito attentato di Cosa Nostra a Roma all’Olimpico il 23 gennaio e addirittura l’uccisione di due carabinieri in Calabria. Questi eventi sarebbero serviti a favorire la vittoria di Berlusconi e del centrodestra nelle elezioni del 28 marzo. Ai procuratori fiorentini si sono affiancati in questo tipo di ricostruzione anche magistrati di un’atra regione, la Calabria, su iniziativa del capo della Dda di Reggio, Federico Cafiero de Raho e all’aggiunto Giuseppe Lombardo. Il quale nelle due requisitorie di primo e secondo grado del processo “’ndrangheta stragista” deliziò gli astanti con questa parole: Achille Occhetto era “l’unico interlocutore di sinistra che ha una capacità aggregante” e che nella previsione elettorale “parla come se non avesse avversari”. Ecco quindi che la mafia interviene. Come? Uccidendo due carabinieri in Calabria. Il che avrebbe indotto mezza Italia a votare Berlusconi per bloccare Occhetto. La forzatura serve ad arrivare fino alla data elettorale.

Ma pare che manchi ancora un personaggio a questa storia, Salvatore Baiardo. Pare sia stato dimenticato. Eppure per mesi non si è parlato d’atro, mentre andava nelle trasmissioni condotte da Massimo Giletti a dire di aver visto una foto in cui Berlusconi era a braccetto proprio con Graviano. Quella foto nessuno l’ha vista, ma è stata utile a tenere aperta, come una fisarmonica, l’inchiesta di Firenze, che si avviava alla quinta chiusura. Nei confronti di Baiardo a un certo punto c’stata la richiesta della procura di arresto per calunnia nei confronti di Giletti, respinta dal gip e poi confermata dal tribunale del riesame. Ora si attende la seduta della cassazione del 4 aprile. Ma pare che l’argomento non interessi più né i giornalisti di professione mafiologi né il palazzo di giustizia di Firenze. Del resto Berlusconi non c’è più, Tescaroli e Nannucci neanche. Quinta archiviazione dunque? O l’ossessione è già stata trasferita su Dell’Utri?