Il recente articolo pubblicato il 22 u. s. sul Dubbio dell’avv. Aurora Matteucci in merito all’egemonia del diritto penale sul corpo della donna richiama l’attenzione su un aspetto del contratto di maternità ( surroga) che coinvolge anche l’utilizzo da parte del governo del diritto penale per disincentivare tale soluzione da parte delle coppie committenti. Avevamo già avuto modo di segnalare su queste pagine (10.07.24) l’ignoranza giuridica del governo che vuole la surroga come “reato universale”. Comunque il tema trattato dall’avv. Matteucci è necessariamente solo uno degli aspetti che coinvolgono le diverse posizioni positive o negative concernenti il contratto di maternità.

Pertanto, può interessare un altro degli aspetti fondamentali che emergono in occasione di qualsiasi discussione riguardante il contratto di maternità, quello dell’interesse del minore, menzionato da teorie e da sentenze, direttamente o indirettamente portate a ritenere legittimo o meno il contratto di maternità. Ma l’interesse del minore è una ricerca tutt’altro che agevole, priva di risultati oggettivi, certamente impossibile da circoscrivere nel tempo, quando il nato è ancora incapace di intendere e di volere e di valutare le modalità della propria nascita (gestazione da parte di altra donna; cessione e reificazione del nato a seguito di contratto; tipologia del contratto; impossibilità di conoscere le proprie origini; ecc.).

L’avvenire di tutti i bambini è per natura caratterizzato da incertezza e sarebbe illusorio voler garantire a ciascuno un contesto familiare ottimale. Inoltre, la decisione di divenire genitore non dovrebbe essere sottoposta ad un controllo sociale generale. Ma, trattandosi della surroga, risulta problematico pronunciarsi a favore di condizioni molto particolari nel venire al mondo, che la maggior parte degli individui esiterebbero ad auspicare per se medesimi. Il contratto di maternità è un rapporto a tre: la coppia o il singolo committente, la madre gestante, il nato. Certo è probabile che il nato attraverso surroga, atteso con favore dai suoi genitori committenti, beneficerà di una attenzione consona al suo interesse.

Tuttavia, dal confronto degli argomenti sviluppati dagli avversari e dai partigiani della surroga materna, il risultato è che diversi elementi spingono verso la prudenza. Senza affermare che il nato soffrirà necessariamente del trauma dell’abbandono dalla madre gestante che lo ha curato nel proprio ventre per nove mesi, ci si può interrogare sulle conseguenze, sul suo sviluppo psicologico, del fatto che egli sarà il risultato di un progetto insolito e complesso, dato da una trattazione tra interessi differenti.

Inoltre, se si possono ravvedere incertezze per l’interesse del minore nell’ambito di una eterologa con donatori di gameti, non è possibile trascurare l’impatto eventuale, anche a lungo termine, di una dissociazione tra filiazione materna e gestazione sulla psiche delle persone nate attraverso contratto.

Come non considerare che il contratto di maternità, generalmente a titolo oneroso, riduce il nato ad un prodotto, ad un oggetto con valore di scambio, di modo che la distinzione tra la persona e la cosa risulta annullata. Sembra allora utopistico pretendere di fare luce su tali questioni attraverso degli studi che non potrebbero che basarsi su posizioni parziali e transitorie, su dati incerti per chi nasce e diventerà adulto, su circostanze che potrebbero determinare un possibile malessere che dimora ampiamente nell’ambito della psiche di ciascuno di noi. È inevitabile che il diritto se ne debba interessare. Il nostro Paese ha vissuto e vive il problema della trascrizione o meno dell’atto di nascita formatosi in altro Paese ove la surroga è consentita e nel quale risultino genitori persone anche dello stesso sesso o single.

Diverse sentenze e ordinanze nella prima decade del 2000 ritennero che la trascrizione fosse possibile in quanto la surroga non violava l’ordine pubblico, che andava riferito esclusivamente ai principi supremi o fondamentali della nostra Carta costituzionale, vale a dire a quelli che non potrebbero essere sovvertiti da legislatore ordinario. E fra questi non rientrava il divieto della surroga, stabilito in base alla l. 40/ 2004 e dalla stessa sentenza della Corte costituzionale del 2014, in merito alla legittimità della procreazione eterologa.

Queste decisioni giurisprudenziali nell’ammettere la trascrizione si richiamavano prevalentemente anche all’interesse del minore, ritenuto come principio di rilevanza costituzionale primaria che si sostanzia nel suo diritto alla continuità dello status filiationis, validamente acquisito all’estero.

Si sottolinea come il mancato riconoscimento della filiazione, già avvenuto in altro Paese, determinerebbe una “situazione giuridica claudicante”, che rappresenterebbe un rilevante ostacolo per il rispetto dell’identità personale del minore, che non vedrebbe riconosciuti in Italia i diritti derivanti da entrambi i genitori. Irrilevante, altresì, la norma secondo cui è madre colei che ha partorito ( art. 269 c. c., comma 3), considerato che la regola non costituisce un principio fondamentale di rango costituzionale e, pertanto, non essendo punibile una tale violazione in base al principio di ordine pubblico.

A questo orientamento successivamente si è discostata gran parte della giurisprudenza civile (per tutte: Cass. Sezione Unite n. 12193/ 2019 e Corte cost. n. 33/ 2021), negando la possibilità che i figli nati all'estero con la pratica della surroga possano essere riconosciuti in Italia, dato che la tecnica, vietata dalla legge italiana, è contraria all'ordine pubblico. E si riscontrano diverse critiche in merito all’indirizzo della Corte EDU, favorevole a che il migliore interesse del bambino giustifica anche la illegittimità di una eventuale decisione nazionale di allontanare il nato dai genitori committenti, aprendo un percorso di adozione verso una nuova famiglia. Di contro, queste sentenze contrarie alla trascrizione escludono tra l’altro che il divieto si ponga in contrasto con la tutela dell'interesse del minore, che si realizza proprio attribuendo la maternità a colei che partorisce.

Il divieto della trascrizione, sarebbe in conflitto con il principio dell’interesse del minore, soltanto al fine di privilegiare la tutela della verità biologica. E viene da osservare che la decadenza dalla potestà genitoriale dei soggetti che si sono avvalsi di queste tecniche procreative trasforma per atto del giudice il nato in ‘figlio di nessun genitore’, una situazione che può essere solo subita dall’ordinamento.

Tanto più che non può essere trascurato il principio che in tutte le decisioni relative ai minori di competenza delle pubbliche autorità, compresi i tribunali, deve essere riconosciuto rilievo primario alla salvaguardia del migliore interesse del minore, come espresso nella Convenzione universale dei diritti del fanciullo. Comunque, accanto all'interesse fattuale di un singolo bambino già nato andrebbe considerato anche l'interesse più oggettivo delle generazioni che nasceranno nei cui confronti dovrebbe essere deciso chiaramente dal legislatore, e non dalle mutanti ideologie dei giudici, se il nascere è un bene incomparabile in qualsiasi modo e a qualsiasi prezzo lo si ottenga. Se poi la scelta dovesse essere quest'ultima, coerentemente non vi dovrebbe essere mai alcun ostacolo alla vita nascente.