Il mood è quello petulante e passivo aggressivo delle “10 domande a Berlusconi”, solo che stavolta al centro delle ossessioni di Repubblica non ci sono i festini privati del Cav, ma le pulsioni autoritarie di Giorgia Meloni e del suo governo che mal sopporterebbero la libertà di informazione, in particolare il giornalismo graffiante dell’ammiraglia del gruppo Gedi. Insomma, il cuore della democrazia.

Sul tema è intervenuto in varie sedi mediatiche il direttore Maurizio Molinari che ha denunciato i tentativi di «delegittimare» Repubblica e la sua redazione da parte della premier «ignara dei fondamenti della libertà del giornalismo». “Chi ha paura di un giornale libero?”, recitava con slancio un po’ mitomane l’editoriale di Molinari che neanche il direttore de L’Avanti Pietro Nenni all’indomani delle leggi fascistissime.

Cosa è accaduto? Dagli schermi di Rete 4, in un’intervista a Nicola Porro, Meloni aveva attaccato, senza citarla, la famiglia Agnelli-Elkann, proprietaria della multinazionale dell’automobile Stellantis e per l’appunto del gruppo Gedi. Replicando alla polemica alimentata da Repubblica sull’“Italia in vendita” la premier ha detto infastidita di non accettare lezioni di italianità da chi «ha preso la Fiat per cederla ai francesi, trasferendo all’estero sede legale e fiscale, mettendo in vendita i siti delle nostre aziende». Una stoccata non priva di demagogia quella di Meloni, ma dove sarebbe l’attacco alla libertà di stampa, dove sarebbe la delegittimazione?

Sulla stessa barricata immaginaria di Molinari si è posizionato da tempo anche Domani, il quotidiano dell’ex editore di Repubblica Carlo De Benedetti: in un editoriale pubblicato durante l’ultima giornata mondiale della libertà dei media viene citato il numero di denunce per attacchi alla libera informazione in Italia registrate sulla piattaforma del Consiglio d’Europa: dieci durante il governo Draghi nel 2022, ma «ben sei casi nel primo trimestre del governo Meloni».

«È allergica alle critiche», tuonano le firme vicine all’opposizione, e questo per tratti caratteriali è in parte vero, ma Giorgia non è certo la prima a litigare con i giornalisti: da Bettino Craxi a Massimo D’Alema, da Silvio Berlusconi a Matteo Renzi, tanti inquilini di Montecitorio si sono distinti per l’insofferenza idrofoba verso i media e persino verso la libera satira. Ma nessuno ha mai impedito ai tanti giornali-partito di questo Paese di lanciare bordate verso chiunque volessero o di porre le mitiche “domande sgradite” ai tanti governi che si sono avvicendati e ai loro esponenti. E nemmeno questo esecutivo, al netto delle sortite sgradevoli di qualche ministro e talvolta della stessa premier, si sognerebbe mai di limitare la libertà dei media.

La destra meloniana avrebbe però «occupato militarmente la Rai», denuncia il senatore del Pd Walter Verini che assieme ad altri colleghi dell’opposizione oggi terrà un sit-in di protesta a Viale Mazzini contro «Tele-Meloni». Dimenticando che la Rai è da sempre un accampamento militare della politica nonché una fabbrica di poltrone da riservare agli amici, dalla vecchia lottizzazione della prima repubblica, all’era berlusconiana e alle parentesi renziane e pentastellate. E che senza una riforma profonda e osteggiata da quasi tutti i partiti non sarà mai un organismo indipendente.

Peraltro allergici alle critiche sembrano essere anche ai piani alti di Repubblica come si lamenta da tempo il leader di Azione Carlo Calenda, a suo dire oscurato dal quotidiano per le sue parole molto dure nei confronti di Stellantis, accusata di spostare gli investimenti fuori dall’Italia pur continuando a chiedere benefici, ma anche di Pd e Cgil accusati di non trattare l’argomento in cambio di benevolenza da parte dei giornali del gruppo.