Non condivido la posizione di quanti pregiudizialmente si oppongono a qualsivoglia ipotesi di separazione delle carriere, prospettando scenari apocalittici, come l’ineluttabile assoggettamento del pm al potere esecutivo, con correlata mutazione genetica in superpoliziotto. Quindi ritengo che sbagli l’Anm nel bocciare a priori la proposta di legge del Governo senza avere contezza del testo, che non è stato ancora presentato, in base a un indimostrato automatismo tra separazione e asservimento del pm al potere politico.

I prospettati pericoli per l’autonomia e l’indipendenza della magistratura – che io per primo avverto come estremamente seri – dipenderanno dal se e come le carriere verranno separate; ad esempio, non capisco perché essere contrari alla separazione se – limitando gli esempi ad alcuni dei requisiti a mio avviso irrinunciabili – il pm continuasse ad avere: indipendenza dall’Esecutivo, obbligatorietà dell’azione penale, terzietà e imparzialità rispetto alla polizia giudiziaria, cultura della giurisdizione, inamovibilità, governo autonomo, distinzione tra magistrati solo per diversità di funzioni.

Occorrerebbe, dunque, un approccio laico che consentisse di vagliare con serenità le proposte di legge, analizzandone le singole disposizioni ed evidenziando gli eventuali effetti negativi. In mancanza di ciò, non ci si dovrebbe poi sorprendere se la riforma venisse ideata prescindendo dalle ragioni di chi è contrario alla separazione, ma propone come unica alternativa il mantenimento dell’unicità delle carriere. Eppure sarebbe un peccato la rinuncia al dialogo, e dunque alla possibilità per l’Anm di offrire il proprio contributo di tipo tecnico- giuridico. Ci tengo a sottolinearne la natura tecnico- giuridica, in quanto la ritengo l’unica possibile per la magistratura, onde non oltrepassare quella linea oltre la quale si sconfinerebbe in valutazioni politiche, che competono esclusivamente al Parlamento e al Governo; ma non per questo è da reputarsi meno prezioso il dialogo con i magistrati che, procedendo quotidianamente all’applicazione della legge, possono essere considerati degli interlocutori privilegiati per saggiare il funzionamento di istituti giuridici e gli effetti che deriverebbero da innovazioni normative. Non solo, ma la magistratura è portatrice di una qualificata sensibilità costituzionale e istituzionale, alla quale non si dovrebbe rinunciare in caso riforme aventi a oggetto quelle garanzie volte a preservare i valori costituzionali e l’equilibrio tra i poteri dello Stato.

Pur condividendo la posizione dell’Anm sui prospettati rischi, tuttavia mi trovo in radicale contrasto su un punto essenziale, giacché io contesto la tesi della mancanza di alternative, e ritengo che si possa trovare un modo di realizzare la separazione delle carriere, che sia in linea con i principi e i valori della Costituzione e delle Carte sovranazionali. Siccome non mi piace essere assertivo nei ragionamenti, e siccome in questa sede non posso andare oltre per limiti di spazio, rinvio al mio libro “Meglio separate – un’inedita prospettiva sulla separazione delle carriere in magistratura”, edito da Lelettere, nel quale ho cercato di dimostrare che si può arrivare alla separazione, salvaguardando le attuali garanzie di autonomia e indipendenza della magistratura e la tutela giurisdizionale dei diritti, che anzi potrebbero essere ulteriormente rafforzate.

Dunque sono sì favorevole, ma a determinate condizioni. Inoltre nel processo di riforma vedo un’opportunità per migliorare il sistema giustizia, qualora alla separazione si accompagnino ulteriori interventi (senza i quali sarebbe inutile) tra cui: maggiore specializzazione dei magistrati, riduzione dei procedimenti civili e penali, diminuzione dei tempi dei processi, accorpamento delle procure piccole in uffici più grandi ed efficienti, investimenti in infrastrutture fisiche e informatiche, incremento di magistrati e personale amministrativo.

Quanto al ddl governativo, in attesa di conoscerne il testo, posso esprimere qualche valutazione su due delle cose che finora sembrerebbero punti fermi, ossia doppio Csm e concorsi separati. Sono favorevole ai due Csm, purché per ciascuno vengano mantenute sia le garanzie e le prerogative dell’attuale, sia la proporzione tra componente togata (due terzi) e laica (un terzo) dei consiglieri, trattandosi di condizioni indispensabili per assicurare l’indipendenza della magistratura. E sono d’accordo anche sui concorsi separati, che potrebbero comportare una preparazione specifica per le diverse funzioni requirenti e giudicanti, prodromica a quello che, secondo me, costituirebbe uno dei maggiori vantaggi derivanti dalla separazione, ossia una maggiore specializzazione delle professionalità di giudice e pm, che è indispensabile per fronteggiare le sempre più ardue complessità derivanti dal progresso tecnologico e dai mutamenti sociali.