Dubito – e come non potrei sotto questa testata?- che a Gianni Letta la ciambella sia venuta questa volta col solito buco. Alludo naturalmente al discorso che egli ha pronunciato nell’aula di Montecitorio partecipando ai funerali di Stato di Giorgio Napolitano. Col quale ebbe, prima e dopo essere stato il principale sottosegretario di Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi, rapporti che gli hanno permesso di testimoniare una convivenza “tormentata e complessa” fra i due capi - ha riconosciuto- ma non quanta sia stata vista e raccontata anche da amici e fedeli del compianto ex presidente del Consiglio, anche se arrivati alla corte di Arcore dopo di lui.

Alessandro Sallusti, per esempio, da poco tornato alla direzione del Giornale non più della sola famiglia Berlusconi, ha scritto dell’appena morto Napolitano come del “peggiore”, o di uno dei peggiori presidenti succedutisi nei 77 anni abbondanti della Repubblica, rimproverandogli soprattutto di avere rimosso Berlusconi da Palazzo Chigi nel 2011 - e forse di avere persino contribuito a farlo condannare due anni dopo in via definitiva per frode fiscale- per assecondare sostanziali congiure internazionali e la propria partigianeria politica.

Anche per questa sortita del direttore tornato al Giornale l’intervento di Gianni Letta ai funerali di Stato di Napolitano era atteso con un certo interesse, probabilmente nutrito a cominciare - credo- dai familiari dell’estinto che non a caso l’avevano voluto tra gli oratori della cerimonia più solenne che io ricordi in onore di un capo dello Stato. Come se Napolitano fosse morto in carica e non più di otto anni dopo il suo ritorno a Palazzo Madama come senatore di diritto.

Non so dei familiari - ripeto- del compianto presidente emerito, ma uno dei più quotati cronisti, osservatori, commentatori e altro del giornalismo italiano, Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera, mi è sembrato convinto della ciambella di Gianni Letta, come l’ho chiamata. Eccovene testualmente il racconto: «Dopo la Finocchiaro”- Anna, già capogruppo post- comunista al Senato, già ministra, già arrivata una volta sulla soglia della candidatura al Quirinale - «parla Gianni Letta: ricorda Napolitano sulla Flaminia presidenziale con Berlusconi, immagina che i due nell’aldilà possano essersi parlati, chiariti. Un messaggio a destra: ma quale golpe». Quello naturalmente già accennato dell’autunno del 2011, quando personalmente ebbi la stessa sensazione più autorevolmente avvertita e raccontata in questi giorni dal senatore quasi a vita ed ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini: che Berlusconi si sentisse “sollevato” più che arrabbiato per il passaggio di mano che stava avvenendo con Mario Monti. Del quale era talmente orgoglioso di averlo mandato a suo tempo a Bruxelles come commissario europeo per conto dell’Italia da essersi immediatamente offerto a Napolitano per la controfirma del suo decreto di nomina a senatore a vita, propedeutico all’incarico che gli sarebbe stato quasi immediatamente conferito di presidente del Consiglio.

Poi addirittura, come l’interessato ha raccontato in questi giorni, prima di scoprirne una tale incompatibilità da ritirargli la fiducia concessagli per un anno, Berlusconi propose allo stesso Monti di assumere la guida del centrodestra nelle elezioni ordinarie del 2013.

«Ma quale golpe» - ripeto- ha scritto Cazzullo interpretando le parole di Gianni Letta in memoria di Napolitano come «un messaggio a destra». Ma quale messaggio di negazione o smentita - mi chiedo a mia volta- se il buon Gianni Letta, spingendosi oltre il punto cui sarebbe poi giunto il cardinale e biblista Gianfranco Ravasi, sempre nell’aula di Montecitorio, ha sentito il bisogno spiritoso di scomodare «l’aldilà» peraltro un po’ impervio per un Napolitano spentosi senza credervi- per immaginare i due morti finalmente in grado di chiarirsi, riconciliarsi, se avessero mai davvero litigato in vita, e via discorrendo.

L’ironia ha di solito un terribile banco di prova: l’impatto con le vignette, che dell’ironia, appunto, sono l’espressione o il prodotto, diciamo così, più professionale o autentico. Ebbene, il buon Gianni si è procurata quella di Nico Pillinini che sulla Gazzetta del Mezzogiorno immagina appunto Napolitano e Berlusconi sulle nuvole: ma un Napolitano silenzioso e severo, quasi ancora preso nel suo ruolo terreno, che sente Berlusconi salutarlo alle spalle dicendogli più o meno sarcastico: «Chi muore si rivede». Con quante poche parole, diavolo di un vignettista, Pillinini è riuscito ad esprimere il mio dubbio iniziale.