Certo, non fu del tutto disinteressato. E a dirla tutta fu anche un po’ tardivo. Insomma, possiamo tranquillamente ammettere che il garantismo di Silvio Berlusconi sbocciò per la prima volta solo quando incappò nella “terribilità” della giustizia, come amava definire Sciascia il girone infernale della nostra macchina giudiziaria. Ma non per questo fu meno sincero.
Anzi, fu proprio la sua personalissima via crucis a renderlo consapevole della patologia del nostro sistema giudiziario. Sfigurata da un potere fuori controllo esercitato da alcune procure ed esasperata dall’esplosione del processo mediatico (siamo all’inizio degli anni ‘90, in piena Tangentopoli), la giustizia italiana divenne “progetto politico” proprio negli anni del berlusconismo. Del resto come non ricordare l’istantanea del 22 novembre del ‘94, giorno in cui gli venne “consegnato” il primo avviso di garanzia a mezzo stampa nel bel mezzo del G7 di Napoli?
Insomma, per questo e per molto altro, il garantismo di Berlusconi divenne granitico e animato da una sincera tensione nazional-popolare e pedagogica. E quando qualcuno dei suoi si lasciava andare a commenti manettari nei confronti di avversari politici che avevano avuto la sventura di salire i “tre scalini di Rebibbia”, ecco che il Cav li riprendeva aspramente: “Non avete ancora introiettato il garantismo…”.
Insomma, ci ha provato il Cavaliere. Ci ha provato come nessun altro a portare i diritti degli indagati e degli imputati fuori dalle stanze impolverate dei giuristi, degli avvocati e di pochi, pochissimi magistrati illuminati.
Un’impresa che gli è riuscita solo in minima parte: troppo acute e troppo ben armate le sirene del giustizialismo. Senza contare che il garantismo, come spiegano i filosofi del diritto, è controintuitivo e di certo ha meno attrattiva e immediatezza del “buttiamo le chiavi della prigione” dato in pasto al pubblico pagante.
È questo il vero testamento ideale di Berlusconi. Chissà se qualcuno avrà la forza di raccoglierlo.