Sì è vero, le armate meloniane hanno occupato la Rai con particolare brutalità, non lasciando nulla all’opposizione, nemmeno le briciole, e questo sta creando accigliati dibattiti sulla qualità della nostra democrazia.

Si potrebbe obiettare che anche i predecessori di Giorgia Meloni (Renzi, Conte, Draghi) si sono presi l’intera posta, curandosi ben poco di accontentare gli avversari, rianimando così l’eterno tema della politica che dovrebbe, una volta per sempre, togliere le sue manacce dalla televisione pubblica come accade in altri paesi, vedi l’immancabile esempio virtuoso della Gran Bretagna con la sua leggendaria Bbc. Tutto molto sensato e molto auspicabile. Eppure in questa ruvida contesa fatta di vendette e di “aventini”, con i suoi eroi celebrati e sconfitti (Fabio Fazio, Lucia Annunziata) c’è qualcosa di decadente, di scollegato dalla realtà.

Come se il televisore fosse ancora oggi quel totem attorno al quale ruota la vita domestica degli italiani o quel diabolico strumento di persuasione politica che denunciavano i sociologi del Nocevento. Non è più cosi da tempo.

Basta osservare le statistiche dell’ultimo decennio: la fuga dalla tv generalista (e dalla tv in generale) è un processo inarrestabile, con il solo 2020 come annata in controtendenza a causa del lockdown. Meno di otto milioni di spettatori di media giornaliera nel 2022, tre milioni in meno rispetto al 2018, cinque in meno dal 2012. Se si corre più indietro con lo sguardo agli anni 80-90 il paragone è addirittura impietoso con una perdita di spettatori di oltre l’80%.

Un altro dato emblematico è la media di età dei telespettatori italiani: 57 anni, ciò significa che per i giovani (millenial e generazione Z) la tv è poco più di un cimelio che in pochi anni avrà lo stesso esotico appeal del grammofono dei nostri nonni. L’esplosione delle piattaforme streaming con i loro cataloghi on demand, l’informazione online, le testate digitali, i social network, hanno poi completamente rivoluzionato il paesaggio dell’offerta televisiva, innestandosi ai nuovi supporti, tablet, smartphone, pc.

Pensare di poter contrapporre i vecchi carrozzoni della tv di Stato al vorticoso proliferare di contenuti video sul web oltre a essere illusorio è quasi patetico. Per questo la bulimica e rancorosa occupazione delle poltrone da parte della maggioranza e le indignate proteste dell’opposizione che grida al minculpop sono passaggi un conflitto autoreferenziale. Animata dall’idea che chi occupa Viale Mazzini conquisti automaticamente nuovi elettori; il trionfo di Giorgia Meloni dello scorso autunno con una Rai tutta draghiana sta lì a smentire l’assioma.

I Tg e i talk show ormai non spostano più un solo voto, gli italiani si informano per conto loro e scelgono per conto loro, peraltro bruciando in fretta più di un leader. Il giro di nomine di questi giorni è solo un modo di distribuire favori e potere agli amici e di vendicarsi dei nemici. Uno spettacolo decadente per una guerra del secolo scorso.