Chissà se il giudice istruttore Michel Claise è ancora convinto, come disse una volta in tv, che la sua missione sia estirpare la corruzione nel mondo. Probabilmente sì, anche se in fondo basterebbe che si limitasse a rispettare lo Stato di diritto come non è invece accaduto nell’inchiesta del cosiddetto Qatargate (o Qatar-Maroccogate). Che oltre ad assumere i contorni del fiasco giudiziario è stata un insulto alla dignità delle persone indagate, alla presunzione di innocenza, alla separazione dei poteri.

Le parole rilasciate al Corriere dall’eurodeputata Eva Kaili, tornata in libertà dopo quattro mesi di reclusione e due di braccialetto elettronico sembrano uscite dalle cupe cronache della repressione iraniana: «Mi hanno messa in isolamento in una cella con luci e telecamera di sorveglianza sempre accese, senza acqua corrente. Ho sofferto il freddo gelido perché mi è stato tolto il cappotto. Ero preoccupata per la mia bambina, perché i primi giorni non mi è stato permesso di chiamare un avvocato, né la mia famiglia».

Lo scorso dicembre il difensore di KailiMichalis Dimitrakopoulos aveva denunciato il trattamento degradante subito dalla sua assistita, alla quale furono negate le coperte per ripararsi dal freddo, e l’uso della doccia nonostante avesse il ciclo mestruale, accusando Claise di «tortura». Senza che ci fosse alcun pericolo di fuga o di inquinamento delle prove Kaili è stata inoltre separata dalla figlia di appena due anni in aperta violazione della Convenzione sui diritti dei minori. Se voleva rivederla, doveva soltanto confessare. Il metodo di Claise è semplice e collaudato: ti tengo in prigione finché non parli e se denunci gli altri indagati avrai uno sconto di pena.

Con il lobbista Antonio Panzeri (il proprietario del sacco con 700mila euro in contanti da cui è partita l’inchiesta e per il momento unico elemento materiale in mano agli inquirenti) l’uso spregiudicato e vessatorio della custodia cautelare ha funzionato a meraviglia; trattato come un pentito di Mafia o di terrorismo l’ex eurodeputato e sindacalista ha ottenuto i suoi benefici e la sua riduzione di pena. Con Eva Kaili, che si è sempre dichiarata innocente, no. Al contrario, la persecuzione che ha subito sembra averla resa più forte e consapevole: «Se avessi fatto nomi importanti sarei uscita ma avrei dovuto mentire non ho mai nemmeno pensato che potesse essere un’opzione. Sono convinta che Panzeri sia stato minacciato».

L’ex vicepresidente del parlamento europeo ha denunciato poi uno degli aspetti più allarmanti dell’intera vicenda ovvero il ruolo svolto dai servizi segreti belgi: dal fascicolo giudiziario emerge infatti che gli 007 di Bruxelles avrebbero spiato le attività dei membri della commissione speciale Pegasus (che indaga sull’uso dello spyware Pegasus usato dalle autorità del Marocco contro oppositori e attivisti), tutti eurodeputati. Che le spie del Belgio sorveglino degli eletti dal popolo su mandato di una procura è un fatto inquietante o, per usare le stesse parole di Kaili «il vero scandalo» dell’intera vicenda.

Ma l’inchiesta giudiziaria a che punto è? Si è allargata «a macchia d’olio» come profetizzavano i giornali gli scorsi mesi in un crescendo ansiogeno e giustizialista? Doveva essere il caso che avrebbe sconquassato l’Unione europea, il più grande scandalo di sempre, pompato a e sospinto dai grandi media e dallo zelo di un magistrato-sceriffo che non si è fermato davanti a nulla pur di inverare il suo teorema giudiziario. Prime pagine dei giornali, aperture dei Tg, accigliati dibattiti sulla trasparenza dell’Unione e ridicole agiografie dello stesso Claise dipinto come una specie di eroe moralizzatore dell’ Europa hanno distorto la realtà sovrapponendo il consueto processo mediatico all’inchiesta vera e propria.

Ma dalle settimane successive a 9 dicembre, data dell’arresto di Kaili, non c’è stato nessun altro nuovo indagato a parte i soliti noti (Kaili e il compagno Francesco Giorgi, Panzeri con moglie e figlia, il deputato belga Marc Tarabella, quello italiano Andrea Cozzolino) e soprattutto i collaboratori di Claise non sono stati in grado di individuare nessuna circostanza in cui il Qatar e il Marocco avessero ottenuto privilegi materiali in qualche decisione o votazione ufficiale dell’Ue. Allo stesso tempo il caso non ha mai varcato i confini dell’europarlamento contagiando altre istituzioni comunitarie come invece pronosticavano gli organi di informazione..

Tutto è rimasto nel fumoso campo degli indizi e delle supposizioni, purtroppo a mancare sono le prove della presunta corruzione. Le stesse “confessioni” di Panzeri, che ha patteggiato la sua pena a fine gennaio. non sembrano aver dato grandi slanci alle indagini. Non si sa nemmeno quando inizierà il processo. È probabile che le udienze saranno concomitanti alla campagna elettorale per le elezioni europee che si terranno nel giugno del 2024.

Intanto Kaili (come del resto Cozzolino) è stata espulsa dal suo partito come se fosse già stata condannata in via definitiva. Nessuno tra i suoi compagni ha alzato un dito per difenderla dai metodi brutali della procura al contrario l’hanno scaricata. Per paura e per vigliaccheria.