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GIUDICE SCRIVE SENTENZA
Sono passati molti anni da quando, ancora bambino, durante una di quelle interminabili giornate d’agosto al mare da un ombrellone vicino al mio, sentii un padre mettere in guarda il figlio poco più che adolescente sui pericoli che si nascondevano nell’interpretazione della legge.
In realtà il concetto, espresso tra una fetta di cocomero e l’altra, fu veicolato da una metafora, con cui si paragonava l’elasticità dell’interpretazione della legge con quella della pelle che contiene parti anatomiche maschili.
L’irresistibile simpatia di quel padre premuroso e la singolarità di quella metafora sono stati per anni un ricordo divertente, sino a quando un giorno ho compreso che dietro quella colorita espressione con cui un padre voleva avvertire il figlio sui pericoli dell’essere giudicati, sullo spazio tra “avere ragioni” ed ottenerle c’era molto di più, oggi direi un’epifania.
Quel simpatico papà a modo suo aveva detto al figlio che la certezza del diritto non è certa perché l’interpretazione della legge a volte sa essere molto più che sorprendente.
Una lezione che mi ha consentito di comprendere ragioni che altrimenti mi sarebbero state ignote, come quelle contenute in un provvedimento con cui il CSM ha archiviato un esposto di un avvocato che si era visto rigettare un ricorso per decreto ingiuntivo poiché il giudice aveva ritenuto non dimostrato il credito provato con una fattura elettronica.
Ho compreso finalmente, peraltro sentendomi un poco come la parti anatomiche evocate da quel simpatico papà tanti anni fa, che se un giudice ritiene che una fattura elettronica regolarmente inviata non sia prova idonea nonostante il codice di procedura civile dica l’esatto contrario, non c’è niente di cui dolersi: questa è l’interpretazione della legge.
Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare.