Caro direttore,
Per difendere il diritto delle donne e dei bambini a non essere trattati come merce, l’Italia si è dotata di “scudi” legislativi talmente solidi che si potrebbe e dovrebbe ragionare con serenità su temi come il Certificato europeo di filiazione. Da noi, nessuna porta può essere aperta all’utero in affitto o Gpa, per moltissimi motivi. Abbiamo una legge che definisce questa pratica reato, la sanziona con condanne pesanti, fino a 3 anni di reclusione e fino a un milione di euro di multa. Persegue non solo chi materialmente realizza gli interventi di maternità surrogata ma anche chi li pubblicizza in ogni forma. Abbiamo addirittura diverse proposte di legge (una delle quali da me firmata) per qualificare la maternità surrogata come reato universale, quindi perseguibile anche se commesso all’estero. La riforma delle unioni civili ha equiparato al matrimonio tutti i diritti patrimoniali e successori della coppia, e anche gli obblighi di mutua assistenza materiale e morale, ma nel capitolo “figli” ha alzato una robusta barriera contro la gestazione per altri: laddove c’è un bambino, sarà figlio del solo genitore biologico e l’altro, se lo desidera, può realizzare paternità o maternità esclusivamente attraverso l’istituto della “adozione in casi particolari”.
Insomma, ha poca ragion d’essere l’allarmismo con cui è stato valutato il nuovo regolamento Ue sul Certificato europeo di filiazione, bocciato in Commissione al Senato in gran parte per il timore che costituisca un grimaldello per scardinare il “no” dell’Italia alla maternità surrogata. Quel Certificato altro non è che una “patente” che consente a genitori francesi, belgi, spagnoli o di qualunque altro Paese europeo, che per qualunque motivo si trovano in Italia, di dimostrare il loro status e quello dei figli. Indica una situazione certificata dalla nazione di provenienza, non incide sulle regole italiane, ed è ovviamente un modo semplice per tutelare il diritto del bambino e collegarlo, in qualsiasi caso sia necessario, alle persone che lo curano, se ne occupano e lo amano abitualmente. E’ un istituto a garanzia dei minori, che non implica alcuna “liberatoria” sulle scelte dei loro genitori.
Sono convinta che l’ostilità manifestata dal centrodestra per questo adempimento sia un segno di debolezza che genera una percezione del tutto sbagliata, e cioè che sia in corso un’offensiva per piegarci alla maternità surrogata e che tale offensiva abbia una possibilità di riuscita, anche se per vie traverse. Non è così. E lo dimostra, oltre a tutto, il recente stop imposto dalla Prefettura di Milano, sulla base di una sentenza della Corte di Cassazione del dicembre scorso, alla “disobbedienza civile” del sindaco Beppe Sala, che aveva cominciato a iscrivere all’anagrafe bambini nati all’estero con la Gpa indicando come genitori entrambi i partner anziché il solo genitore biologico. Quell’iscrizione diretta non è possibile. Per ottenerla serve l’adozione da parte del genitore non-biologico, e quindi un passaggio dal tribunale: lo dice la legge, i sindaci sono tenuti a rispettarla finché non sarà cambiata, e anche Sala ha dovuto convenire che la realtà è questa, le sentenze sono queste, ed è necessario rispettarle.
Tra l’altro, a conferma del basso livello di rischio su questa materia, fino ad ora nessuna maggioranza di governo, neppure le più orientate a sinistra, ha mai accettato di “mettere la faccia” su provvedimenti che aprissero spiragli alla pratica dell’utero in affitto. Anzi, in passato numerosi tentativi di aggiornare le norme sulle unioni civili e più in generale sui diritti delle persone Lgbt si sono infranti proprio sul sospetto (talvolta fondato) che potessero costituire un ponte verso l’accettazione di quel tipo di intervento. I partiti (quasi tutti) sono consapevoli che in Italia, così come in larga parte d’Europa, l’idea di procurarsi un figlio “a contratto”, a pagamento, relegando donne generalmente povere al ruolo di fattrici e trasformando la vita di un bambino in merce, è respinta dalla coscienza comune. Altra cosa è, come ha scritto di recente L’Avvenire, la “giustizia del giorno dopo”, per tutelare i bambini e le bambine che sono venuti al mondo e vivono con due papà e con due mamme: e lì la via dell’adozione speciale è aperta e assolutamente praticabile, finché non si immaginerà qualcosa di meglio.
Possiamo dunque permetterci di valutare senza ostinazioni ideologiche il “patentino di filiazione” che l’Europa propone per uno scopo molto pratico: consentire ai genitori di tenersi in tasca un certificato che garantisca, ovunque si trovino nell’Unione, il loro diritto di agire in qualità di legali rappresentanti del minore senza complesse pratiche burocratiche. Non abbiamo nulla da temere, nulla da perdere, nulla da sacrificare. E per di più l’iter dell’approvazione è solo all’inizio: piuttosto che dire un “no” a prescindere, chi ha dubbi proponga correzioni e precisazioni.