Nell’iter della pseudo riforma ordinamentale che si proponeva l’ambizioso obiettivo di ridurre il numero massimo dei magistrati fuori ruolo, si colgono perfettamente i rapporti di forza che intercorrono tra poteri dello Stato, e segnatamente tra magistratura, governo e Parlamento.

Dapprima la legge delega, che ha preso il nome della ministra Cartabia e che, giunta al delicatissimo punto nel quale avrebbe dovuto dettare i principi per la riduzione del numero massimo dei fuori ruolo, si è limitata a disporre che tale numero, pari a 200, andasse, appunto, ridotto, senza nulla aggiungere a riguardo, lasciando carta bianca al legislatore delegato e con essa anche ogni problema correlato all’esercizio di tale potere.

Una norma da esibire, al fine di poter affermare che una riduzione vi sarebbe stata, priva in concreto di qualsiasi vincolo, fino al punto che anche la riduzione del limite massimo da 200 a 199 sarebbe stata conforme alla delega.

E infatti, ciò che ci si aspettava sarebbe successo è puntualmente accaduto. Il governo ha predisposto uno schema di decreto legislativo nel quale il numero massimo di fuori è stato ridotto a 180; una riduzione che chiunque può facilmente comprendere essere del tutto irrilevante, priva di qualunque effetto, sia rispetto all’invasione da parte della magistratura dei palazzi governativi, e con essa alla sovrapposizione di poteri dello Stato, che la Costituzione vorrebbe separati, sia rispetto all’obiettivo ( più modesto) dichiarato dalla riforma Cartabia, ovvero il recupero dell’efficienza del sistema giudiziario attraverso la reimmissione in esso dei magistrati fuori ruolo.

Secondo i dati pubblicati dal Csm, il numero complessivo dei magistrati attualmente fuori ruolo è pari a 197 e dunque, in concreto, la tanto esibita epocale riforma, avrebbe comportato il rientro nelle funzioni giudiziarie di soli 17 magistrati. Come se non bastasse, il governo si era premurato di prevedere una norma transitoria secondo la quale la nuova disciplina avrebbe avuto effetto solo per il futuro e, dunque, per magistrati collocati fuori ruolo dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo.

Una totale rinuncia a qualunque velleità riformatrice, ove mai vi fosse stata, condita anche da numerose eccezioni ai nuovi tempi massimi da trascorrere fuori ruolo e in generale ad ogni limitazione introdotta dalle nuove regole. Una débacle, dunque, senza neppure la preoccupazione di salvare un minimo di apparenza, che già aveva chiarito come la magistratura non avesse la minima intenzione di abbandonare i palazzi del potere, in particolare il ministero della Giustizia, e che senza il suo placet, impossibile da ottenere per ragioni tanto ovvie da non meritare di essere illustrate, questo non avverrà mai. Quando però tutti credevano che questa vicenda avesse già offerto di sé lo spettacolo peggiore possibile, si sono aperti nuovi e inaspettati scenari, di fronte ai quali anche i più disillusi sono stati attraversati da un sincero fremito di sgomento.

Lo schema di decreto attuativo è stato trasmesso alle commissioni Giustizia di Camera e Senato per raccogliere il parere previsto dalla legge delega, al termine di un lungo ciclo di audizioni, nel corso del quale anche l’Unione delle Camere Penali Italiane ha evidenziato tutte le numerose criticità dell’inesistente riforma.

Ebbene, due giorni fa, in commissione Giustizia alla Camera, la relatrice onorevole Simonetta Matone, ex magistrato che più volte ha ricoperto incarichi fuori ruolo, ha depositato il parere sullo schema di decreto con l’unica raccomandazione di modificare la norma transitoria nel senso che il numero massimo dei magistrati collocabili non sia ridotto se non dopo il 31 dicembre 2025, per evitare che le amministrazioni si trovino sprovviste di personale prima di aver potuto adeguare la propria organizzazione interna, soprattutto in vista del raggiungimento degli obiettivi del Pnrr.

Verrebbe da chiedersi come la progressiva riduzione di soli 17 magistrati sugli attuali 197, diluita nel tempo dalla già ricordata disposizione transitoria dello schema di decreto, possa incidere sull’organizzazione dei palazzi governativi, in particolare rispetto al raggiungimento degli obiettivi del Pnrr. Verrebbe da chiedersi se non sia più grave e dunque più meritevole di attenzione la mancanza di ben 1.575 magistrati rispetto alle piante organiche, pari a un indice di scopertura del 14,81%, posto che gli obiettivi del Pnrr in materia di giustizia consistono nella riduzione dei tempi dei processi e che, senza magistrati, i processi, evidentemente, non si possono celebrare.

Verrebbe da porsi queste ed altre numerose domande se non fosse evidente che, talvolta, le cose sono semplicemente quello che sembrano, e questa sembra proprio l’ennesima dimostrazione che il potere della Magistratura non si tocca.