Gennaio 2025, Perugia. I corpi senza vita di Eliza Stefania Feru, 29 anni, e del marito Daniele Bordicchia, 39 anni, giacciono nell’abitazione che la coppia condivideva a Gualdo Tadino. Il cadavere della donna viene ritrovato in soggiorno, quello del suo assassino è in camera da letto. Il marito, guardia giurata, le ha sparato con la pistola d’ordinanza. E poi ha usato la stessa arma per togliersi la vita.

Gennaio 2025, Torino. Allertati dai vicini, i vigili del fuoco forzano la porta di un appartamento di via Po a Rivoli. All’interno trovano i corpi senza vita di Maria Porumbescu, 57 anni, e l’ex compagno Emilio Martini, 85 anni. L’uomo, pensionato, l’ha uccisa con un fucile da caccia regolarmente detenuto, poi si è suicidato con la stessa arma.

Febbraio 2025, Firenze. Un uomo di 37 anni si lancia nel vuoto dall’ultimo piano dell’edificio in cui abita. Riporta gravi lesioni, ma sopravvive. Per la sua compagna Eleonora Guidi, 34 anni, invece non c’è nulla da fare: il corpo ritrovato all’interno dell’appartamento è già senza vita, riporta i colpi di almeno 20 coltellate. In casa c’è anche il figlio di un anno e mezzo.

Giugno 2025, Bergamo. L’esplosione di vari colpi di pistola squarcia il piccolo comune di Cene, poi il silenzio. Le forze dell’ordine piombano nell’appartamento segnalato dai vicini: dentro ci sono i corpi senza vita di Elena Belloli, 52 anni, e di suo marito Rubens Bertocchi, 54 anni. Lui le avrebbe sparato con una pistola legalmente detenuta perché pensava che lo tradisse. Poi ha usato la stessa arma per uccidersi.

Luglio 2025, Pisa. Alessandro Gazzoli, guardia giurata di 50 anni, uccide la sua compagna Samantha Del Gratta, 44 anni. Chiama il 112: “Ho appena sparato alla mia compagna e mi sto per sparare, ma non voglio far vedere questa scena ai miei familiari. Vi lascio le chiavi di casa nel contatore dell’acqua”. Poi impugna l’arma e si uccide con un colpo alla testa.

Agosto 2025, Messina. La mattina del 6 gli agenti penitenziari del carcere di Gazzi trovano il corpo senza vita di Stefano Argentino, 27 anni: si è impiccato con un lenzuolo. Era accusato di aver ucciso Sara Campanella, 22 anni, sgozzata in pieno centro lo scorso marzo. I due, colleghi universitari, non avevano mai avuto una storia. Ma Stefano continua a perseguitarla. Fino al drammatico epilogo.

«Ma lui non poteva uccidersi prima?». È più o meno tutto ciò che siamo capaci di dire di fronte alla tragedia. Anestetizzati, forse, da un copione che si ripete sempre uguale. Anche se il caso di Sara Campanella fa eccezione: il suo femminicidio non si è consumato nella coppia. Perché la giovane studentessa non aveva mai intrapreso una relazione con il ragazzo che ne era ossessionato. Non lo aveva lasciato, semplicemente non lo aveva mai considerato. Ed è ciò che lascia ancora più sgomenti in questa terribile vicenda.

Ciò che non cambia, invece, sono le logiche di possesso e dominio che accomunano tutti gli episodi di violenza sulle donne. Quelle che ci fanno riempire le pagine di giornale almeno due volte l’anno, quando le statistiche sulle morti violente accompagnano le mobilitazioni nazionali. Ogni tre giorni una donna viene uccisa, gridiamo in piazza. E sui social brindiamo se la mano dell’assassino ha colpito anche se stesso: “Un mostro in meno”, esulta l’utente.

Come se una tragedia doppia lenisse il dramma singolo, come se a riparare la vittima fosse il sangue che segue ad altro sangue. Come se, in definitiva, avessimo perso la dignità di assistere in silenzio di fronte al dramma umano.

Si potrà obiettare che chi uccide se stesso sceglie due volte, per sé e per la propria vittima. Ed è così: l’obiettivo è privare l’altro di un futuro in cui non si è contemplati, perché si considera anche il proprio ormai privo di significato. Succede spesso, spessissimo. Anche se i dati ufficiali non ci forniscono una statistica, la cronaca basta a delineare la ritualità del suicidio che segue a un femminicidio. Eppure noi siamo pronti a liquidare quanto accade come una sorta di “intervento provvidenziale”: la giustizia potrà lavorare meno, il carcere sarà un po’ meno zeppo. E a noi sembrerà che il contrappasso abbia riparato il danno.

Così, anche questa volta, non dovremo preoccuparci veramente di fermare la mano dell’assassino prima che colpisca due volte: magari con qualcosa che non sia soltanto la minaccia dell’ergastolo.