Finirà mai questa morbosità voyeuristica di andare a frugare nei sentimenti dei parenti delle vittime? Per sollecitarli a dire, a ogni sentenza che non sia alla pena eterna, a ogni scarcerazione, a ogni permesso, che il loro congiunto “è morto due volte”. Si può sperare? Pare di no.

L’ultima occasione pochi giorni fa, quando Simone Boccaccini, un signore di 64 anni che ha trascorso gli ultimi venti in carcere perché condannato per l’omicidio del giuslavorista Marco Biagi del 2002, è uscito di prigione ed è tornato a casa. Lo scandalo consiste nel fatto che l’ex terrorista delle Nuove Brigate rosse avrebbe avuto uno sconto di pena di dieci mesi. Dieci mesi su vent’anni di vita da detenuto.

Non ci sono colpi di spugna, ma la semplice banale applicazione della legge e di un meccanismo che si chiama “continuazione” e che consente di collegare reati commessi all’interno di uno stesso disegno criminale. Che cosa cambieranno questi dieci mesi nella vita del figlio di Marco Biagi, Lorenzo, che al momento del delitto è rimasto orfano a soli 13 anni? Di certo non gli restituiranno il padre, ma neppure gli toglieranno il bisogno di giustizia. Perché i processi ci sono stati e le condanne all’ergastolo anche. Si vuole dunque la pena di morte, o la morte civile? Se un imputato è condannato a ventun anni di carcere e, sulla base della legge, ha avuto una riduzione di dieci mesi, non è sufficiente? Dobbiamo proprio infierire e metterlo alla gogna, esibendo a reti unificate il rinnovarsi del dolore del figlio?

Quell’ex adolescente, oggi uomo, farebbe bene a evitare le sirene cattive dei media che sfruttano la sua sorte di orfano, e magari trovare al proprio fianco qualcuno da ascoltare, come il legale di famiglia, l’avvocato Guido Magnisi, il quale non si lascia trascinare nel fango delle recriminazioni, come invece il sindaco di Bologna Matteo Lepore, il quale butta subito lì che “è una decisione che ci sconvolge”. Che cosa lo sconvolge? Quei dieci mesi di meno su vent’anni di carcere già scontati? Sobrio e sensato l’avvocato di famiglia. “Provo un senso di tristezza rispetto alla memoria di Marco Biagi, ma da avvocato garantista ritengo che l’espiazione deve anche liberare, è un effetto necessario. Un paese civile deve permettere che l’espiazione consumata della pena dia una possibilità”.

Simone Boccaccini era l’unico dei componenti il gruppo terroristico a non essere condannato all’ergastolo, se non nel processo di primo grado. La pena a 21 anni era stata erogata in considerazione del ruolo marginale avuto nell’azione terroristica. Non aveva infatti fatto parte del commando che aveva atteso sotto casa il giuslavorista che arrivava in bicicletta e aveva sparato e ucciso.

Boccaccini si era limitato a svolgere sopralluoghi e pedinamenti. Il che naturalmente nulla toglie alle sue responsabilità e al concorso nell’omicidio. Ma ha scontato la pena in carcere e ha mantenuto una condotta regolare. Ora è tornato a casa, e il fatto non dovrebbe neppure fare notizia. Invece ecco l’esercito delle tricoteuses pronto ad andare a frugare nei sentimenti di chi, come il figlio di Biagi, ha già sofferto una grave privazione affettiva e di sicuro non è felice di veder andare a casa uno dei responsabili di quella morte. Ma il fatto in sé non può essere che qualcosa di normale applicazione delle norme del codice penale. E quell’uscita dal carcere, compresi i dieci mesi di sconto della pena, continua a essere una non notizia. È solo un portone che si chiude.