«La rimozione di Magrini dalla guida dell'Aifa è una scelta di discontinuità grave e sbagliata. Una scelta di parte che è anche un segnale pericoloso e preoccupante. Su salute, protezione dei più deboli e lotta alla pandemia c'è bisogno non di scelte faziose ma di continuità». Così il segretario del Pd, Enrico Letta, commenta la notizia dell’esonero di Nicola Magrini, direttore generale dell’Agenzia italiana del farmaco, il timoniere che ha saputo guidare l’ente negli anni incerti e cupi del Covid.

Ma al netto della gratitudine e dei meriti da riconoscere al direttore uscente, urlare allo scandalo non sembra un atto credibile. La rimozione, infatti, avviene all’interno di un normale processo di spoil system: ogni nuovo governo si sceglie e nomina i dirigenti pubblici più graditi. Certo, può essere criticato il metodo in sé, che a volte sottomette le competenze alle simpatie e alle relazioni di potere, ma non può farlo un partito che fino a pochi mesi prima beneficiava di quello stesso metodo. Lo stesso Magrini, ad esempio, nel gennaio del 2020 prese il posto di Luca Li Bassi, nominato solo quindici mesi prima da Giulia Grillo, ministra della Salute del governo giallo-verde.

A chiedere l’avvicendamento fu il nuovo ministro giallo-rosso Roberto Speranza, come da prassi, visto che l’agenzia è un organismo che «opera in autonomia, trasparenza e economicità», ma «sotto la direzione del ministero della Salute e la vigilanza del ministero della Salute e del ministero dell’Economia».

E ora toccherà a Orazio Schillaci trovare un nuovo direttore generale. Anzi, un nuovo presidente, visto che la riforma dell’Aifa approvata in fretta e furia nel dicembre scorso ha soppresso la figura del direttore generale, che fino a oggi disponeva di tutti i poteri di gestione e di direzione, a vantaggio di un presidente che rappresenterà legalmente l’organismo. L’auspicio, semmai, è che il nuovo ministro individui un dirigente all’altezza, competente e capace come chi lo ha preceduto.