La parola “lottizzazione” porta il conio di Alberto Ronchey , la impiegò in una lettera a Ugo La Malfa del 1968 in cui commentava la spartizione delle cariche negli enti pubblici, specie nella Rai.

Ma il sistema che divide la tv pubblica in “lotti” politici inizia a prendere forma sette anni dopo, nel celebre “patto della Camilluccia”, così chiamato per via dell’elegante strada romana arrampicata su Monte Mario che ospitava una villa intestata alla Dc teatro di vertici e incontri più o meno segreti. Le malelingue dicevano che fosse abusiva, gli agiografi raccontano di invece di un grande e accogliente caminetto attorno al quale sono state prese decisioni importanti per il Paese. Una di queste fu la lottizzazione della Rai, in prima battuta solo di governo, con un direttore generale di area cattolica e un presidente socialista, qualche anno dopo, in clima di compromesso storico, fu coinvolto anche il Pci.

Il gioco era semplice; i democristiani si prendevano la prima rete, i socialisti la seconda, i comunisti la nascente terza rete, ai tre partitini laici (Pri, Pli e Psdi), piccoli ma necessari a mantenere gli equilibri del “pentapartito”, spettava il terzo canale radiofonico più qualche poltrona trasversale alle reti. Si inaugurava così l’epoca di Tele Nusco (il natio borgo selvaggio di Ciriaco De Mita), Tele Craxi e Tele Kabul; così la stampa aveva ribattezzato i tre telegiornali, ognuno con il suo padrone di riferimento, fisiologicamente faziosi, ma in fondo plurali visto che pentapartito e Dc rappresentavano sommati quasi il 90% dell’elettorato.

Nella rete ammiraglia, Rai1, andava in scena il complicatissimo e labirintico alternarsi di nomine che seguiva i rapporti di forza tra le varie correnti democristiane, andreottiani, fanfaniani, forlaniani, demitiani, in particolare nelle testate giornalistiche con gli inviati “a libro paga” riconoscibili per via degli accenti regionali. All’inizio degli anni 80 per esempio ci fu l’assalto degli avellinesi incarnato dall’approdo di Biagio Agnes, amico stretto di De Mita, alla direzione generale. Papista e governativa, intimamente nazional-popolare, quella Rai1 ha saputo combinare la fedeltà ai diktat di Piazza del Gesù con grandi professionalità (Pippo Baudo, Mike Bongiorno, Maurizio Costanzo, Raffaella Carrà)

La più trash e scombinata era senza dubbio la Rai2 filo-socialista, riempita di zelanti adoratori del capo, star e starlette, al punto da venire definita un’ “alcova” di Bettino, ma anche in questo caso con picchi di grande talento, come Gianni Minoli, ideatore di Mixer e ancora più craxiano di Craxi. Se il tg1 doveva necessariamente dividere i suoi lotti di informazione tra i vari capibastone della Dc in un continuo esercizio di bilanciamenti, il tg2 no, era interamente dedicato alla celebrazione di Craxi che all’inizio degli anni 80 sembrava il Napoleone descritto da Hegel, “lo spirito del tempo che avanza a cavallo”, nel suo caso in arcioni sulla scultura equina di Viale Mazzini.

Una storia speciale è invece quella della Rai3 di Massimo Guglielmi che è stata un formidabile laboratorio di innovazione, portando sul piccolo schermo format e linguaggi post-moderni, reinventando da cima a fondo il formato del talk show (Santoro, Lerner), del programma di inchiesta (Telefono Giallo, Chi l’ha visto) occupando per la prima volta la notte televisiva degli italiani con cinema, storia, arte e letteratura, un palinsesto di nicchia affidato a geniaccio di Enrico Ghezzi. La missione aziendale di Guglielmi era di portare lo share della piccola rete 2 al 3,5%. Ma in pochi mesi va oltre tutte le aspettative oltrepassando il 6% e poi avvicinandosi al 10%. Il Tg3, diretto per anni dal comunista battagliero Sandro Curzi. è stata una fucina di giornalismo, sfornando decine di professionisti e prendendo posizioni “scomode” come durante la prima guerra del Golfo quando si schiera con decisione contro il conflitto e la partecipazione dell’Italia. Ogni tanto qualcuno storceva il naso per uno scivolone, talvolta si arrivava a qualche epurazione come toccò a Beppe Grillo che in prima serata su Rai1 ironizzò sull’ “avidità”e il gusto dello scrocco dei socialisti finendo bannato per sempre dalla tv di Stato.

Ma il sistema reggeva, funzionava garantendo una rappresentanza adeguata alle diverse sensibilità politiche. Con la fine della prima repubblica, la discesa in campo di Silvio Berlusconi e il suo conflitto di interesse il gioco si rompe. E si fa avanti l’idea delle lottizzazione unica, ossia chi vince le elezioni si prende tutto. Questo è valso per il Cav, per Matteo Renzi e oggi per Giorgia Merloni. Padroni assoluti di una televisione pubblica che ha dimenticato ogni forma di pluralismo.