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Il ministro della Giustizia Carlo Nordio
Il caso Cospito non ha nulla a che fare col caso Ebru Timtik, si sente dire. Lui protesta contro un regime carcerario inumano, lei protestava contro un processo al di fuori di ogni legalità; lui ha accettato il processo, ma chiede modalità diverse di carcerazione, lei chiedeva che il processo farsa che l’aveva condannata venisse annullato; l’unico punto di contatto sarebbe lo sciopero della fame, con tutte le sue conseguenze, prevedibili per Cospito, già tragicamente consumate per Ebru.
Ma è proprio così? I due casi sono poi così distanti? Dipende da cosa intendiamo per processo e quindi per fare giustizia. Il nostro ordinamento (e il nostro stesso codice di procedura penale) disciplina e articola sia i momenti in cui si forma la decisione penale, sia i momenti in cui la si esegue. È sempre stato così, almeno dai tempi di Beccaria: le due fasi non possono essere disgiunte e quando parliamo di giusto processo dobbiamo intendere anche esecuzione della pena secondo giustizia: anche la pena deve seguire criteri cui presiede la norma costituzionale.
Anche sul processo a Cospito ci sarebbe molto da dire: basti considerare che i giudici del primo appello avevano escluso che il suo comportamento avesse integrato il reato del 285 Cp (strage politica) e dovesse essere inquadrato nel più mite, ma più logico 422 (strage comune) poiché non vi era in gioco la sicurezza dello Stato. La Cassazione aveva ribaltato questo punto con una arzigogolata sentenza che sembra partire da un preconcetto politico e a questo volersi attenere. Il giudice del rinvio, in evidente imbarazzo ha rimesso gli atti alla Corte Costituzionale perché si pronunci sul punto se vi sia modo di mitigare la pena dell’ergastolo che necessariamente discenderebbe dal 285. Ce ne è abbastanza per nutrire qualche dubbio. Ma oggi, di fronte alla decisione di Nordio di negare la revoca (o la sospensione) del 41 bis a Cospito, simili considerazioni sembrano un fuor d’opera, ma vanno tenute di conto come sfondo e presupposto della discussione sul 41 bis per l’anarchico detenuto.
Oggi si discute se sia giusto lasciarlo morire per lo sciopero della fame.
È arrivata infatti la notizia che Nordio ha formalmente rigettato l’istanza di revoca del 41 bis del detenuto Cospito, in sciopero della fame da 110 giorni e conseguentemente in fin di vita.
Si noti: Nordio poteva mantenere il silenzio e fra tre giorni (a trenta giorni dall’istanza) tale silenzio avrebbe significato diniego. Invece ha voluto negarlo espressamente. Si noti anche: la Direzione Nazionale
Antimafia, nel suo parere, si era espressa per “ridurre” il 41 bis al diverso e leggermente migliore regime di Alta Sicurezza (AS). Questo decalage, poteva indurre Cospito a cessare il suo sciopero della fame. Neanche a questo ha voluto accedere Nordio, che pure poteva scegliere fra revoca, sospensione e cambio di regime. In sostanza ha voluto dimostrare di “non cedere al ricatto” e di condividere la linea della “fermezza” del governo cui appartiene. Una decisione schiettamente e fortemente politica. Ma è lecito chiedersi: è giusto che una decisione così delicata sia inquinata da considerazioni politiche? Tutto l’itinerario del fare giustizia dovrebbe rispondere solo alle norme penali e di procedura, lasciando spazio semmai solo a considerazioni di umanità ( vedi l’art. 133 CP), che sempre meno vengono riconosciute, ma che in questo caso avrebbero dovuto indurre a una qualche sia pur minima mitezza.
Si potrà dire che Nordio è tenuto sotto pressione da tutto il governo di destra. Che una decisione difforme non poteva essere presa all’antivigilia di importanti elezioni regionali, quando la maggioranza dei cittadini ( si dice, ma chi lo dice? I sondaggi? Bah!) sarebbe per rendere il 41 bis ancora più duro. Tutte motivazioni, come si vede, schiettamente politiche che non dovrebbero trovare spazio nel lungo iter del processo, all’interno del quale sta anche la disciplina dell’esecuzione della pena, anche quando, come in questo caso, essa è rimessa ad un atto amministrativo del Ministro.
Ora la questione è di nuovo rimessa ai giudici: il tribunale di sorveglianza che dovrà pronunciarsi sulla legittimità del diniego odierno e la Cassazione sul ricorso stesso al 41 bis. Ma ci arriverà Cospito a tali date o morirà prima? Non era più logico sospendere il 41 bis fino a tali decisioni? Minimi criteri di precauzione lo imponevano.
Ora si apre ( ma si è già aperta) la questione del Trattamento Sanitario Obbligatorio, dell’alimentazione forzata e altre questioni che peraltro hanno già una risposta nella nostra Costituzione e nella giurisprudenza della Corte Costituzionale. Gli animi si esacerberanno e intanto Cospito morirà, a meno che il giudice competente non decida in extremis di sospendere non il 41 bis, ma la pena stessa, come fortunatamente è già avvenuto in passato.