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Liliana Segre
È più importante il nome o la cosa? Che si definisca genocidio ciò che succede a Gaza, cambia di qualcosa la realtà? Smetterebbero la fame, la morte e la distruzione? Ciò a cui assistiamo ogni giorno, lo chiamassimo genocidio o strage, muterebbe la sostanza dell’orrore? In realtà non si comprende come potrebbe. Perché, allora, è così essenziale che Israele sia riconosciuto come Stato genocida?
Il genocidio è definito come “un crimine secondo la legge internazionale” dalla specifica Convenzione del 1948 sulla prevenzione e repressione del crimine di genocidio. È quindi fattispecie giuridica, non giudizio morale, sulla quale è competente la Corte di Giustizia Internazionale. Alla quale fu presentata, già nel dicembre 2023, l’accusa verso Israele da parte del Sudafrica. La Corte ha quindi chiesto memoria difensiva a Israele, dapprima fissando il termine per la presentazione alla fine di luglio, e poi, ad aprile, prorogandolo al 28 gennaio 2026.
L’iter non terminerà lì, non si attende una deliberazione della Corte prima della fine del 2027, se non del 2028, e sarà una deliberazione presa ascoltando le posizioni delle parti e sulla base di precedenti. Sarà valutazione giuridica, come è ovvio che sia, e comunque non sarà ritenuta vincolante da Israele che non riconosce (al pari di molti altri, come USA e Francia) una giurisdizione vincolante della Corte.
D’altro canto, ciò non preclude, come non ha precluso, il cammino dell’altra Corte internazionale, quella penale, peraltro non riconosciuta da Israele e USA tra gli altri, che sui singoli, e in particolare su Netanyahu e Gallant (ministro della difesa) è già intervenuta spiccando (novembre 2024) mandati di arresto per crimini di guerra e contro l’umanità.
Tutto ciò, però, è assolutamente irrilevante nel dibattito corrente, nel quale si pretende l’uso del termine genocidio da qualunque interlocutore e, in caso negativo, partono (come è successo a Liliana Segre) le lapidazioni via social. Da un lato quindi è questione nominalistica, la parola da usare è solo e soltanto genocidio, dall’altro il fatto che sul banco degli accusati non devono andare i singoli (come detto, per Netanyahu e Gallant, già è stato spiccato mandato di arresto dalla Corte penale) ma Israele nella sua interezza.
Per la questione nominalistica si intravede un inconfessato desiderio di ribaltare sugli ebrei, vittime di genocidio ai tempi della Shoah, la stessa accusa rivolta ai carnefici nazisti. Una sorta di macabro uno a uno palla al centro che, da un lato, relativizzerebbe la Shoah stessa e, dall’altro, giustificherebbe la profusione di slogan e scritte che tracciano l’equivalenza tra la svastica e la stella di David. Può essere sia per cattiva coscienza dell’Europa, che così voglia mondarsi dai crimini passati (come suggerisce la stessa Segre) o per un rigurgito di mai morto antisemitismo, costretto nell’ombra ed esecrato dopo Auschwitz, e che ora si sente più libero di uscire allo scoperto. Non appare però casuale il reiterato uso dello stesso termine col quale si è caratterizzato per decenni il regime nazista.
Ma poi c’è il secondo aspetto. Se è Israele ad essere considerato genocida, e non il singolo governante, ministro o generale, allora lo Stato stesso è da esecrare. Dal 1948, anno di fondazione dello stato ebraico, in tanti, soprattutto i suoi vicini, hanno giudicato illegittima la sua esistenza. Stato abusivo, stato di ebrei in una terra il cui status è stato elevato dall’Islam o in casa dei Musulmani, come è definita la Palestina nello statuto di Hamas o negli scritti dell’Ayatollah Khamenei.
Questa illegittimità dell’esistenza ritornerebbe così sotto mentite spoglie: uno Stato genocida non ha diritto ad esistere, in qualunque parte del mondo. Sarebbe marcio nella spina dorsale e nelle fondamenta, e diverrebbe, nel migliore di casi, un paria a livello internazionale, uno Stato da tenere distante e da cui prendere le distanze, a meno che non faccia atto di contrizione mediante harakiri.
Il sionismo sarebbe quindi ideologia connaturata al genocidio, così come lo era il nazismo, e l’idea stessa che possa esistere uno stato ebraico sarebbe quindi posta in discussione se non condannata apertamente. Sarebbe come dire che, indipendentemente se fosse legittimo nel 1948, Israele non lo sarebbe da oggi in poi. E forse è proprio questa la cosa importante che rende così essenziale quel nome, e proprio quel nome.