Eccola, là di fronte, l’imboccatura dello Stretto di Messina, la strozzatura dell’imbuto oltre il quale il Tirreno si consegna allo Ionio – dove le onde greche vengono a cercare le latine, così Giovanni Pascoli. Se la pioggia della notte ha schiarito l’aria, si presenta mirabile lo spettacolo delle due terre dirimpettaie e del tratto di mare imprigionato nel mezzo. Il Padreterno deve aver forgiato quest’angolo di Paradiso in un giorno di buona, magari il settimo della creazione, quando il riposo Gli soccorse la fantasia. La Sicilia pare di averla a portata di un fischio alla pecoraia, tra lingua, denti e palato. Da Punta Faro si allarga sfuggendo sinuosa in due direzioni, con l’acqua dei laghetti di Ganzirri ristretta tra le sponde e argentata dal sole. Messina si stende sollevandosi dolce verso le colline. Sullo sfondo a Sud, la maestosità dell’Etna, con la sbiancata di neve di un inverno caritatevole e in cima, a stagliarsi contro il cielo e proteso a spacciarsi nuvola, un pennacchio di fumo, l’umore viscerale che le profondità non hanno trattenuto –Iddhu, Egli, chiamiamo il vulcano, per rispetto e sottomissione, per accattivarcelo, per tenercelo caro e indurlo alla quiete, sia mai dalla bocca coli bave infuocate, sia mai scuota e sovverta le terre.

Un ponte sospeso, a campata unica, collegherà le due sponde, restituendo la Sicilia al continente perduto nel corso dei millenni, a causa dei movimenti tettonici. Sarà il più lungo del mondo, un’opera d’ingegneria senza eguali. Sull’opportunità di realizzarlo si combattono agguerrite due fazioni.

Le ragioni del no svariano tra la convinzione del danno irreversibile e il romanticismo. Consistono nel ritenerlo un ecomostro, con un impatto ambientale disastroso, che deturperebbe le coste, il paesaggio, l’armonia e la bellezza, toglierebbe l’aura di magia ai miti e alle leggende, ai luoghi del sogno e dell’anima, e priverebbe la Sicilia dell’insularità – la perderebbe davvero? Se sì, assurdo per assurdo, la si era già persa al tempo dell’elettrodotto aereo. Sempre per il no, aspetti frivoli, folcloristici, da pasdaran ambientalisti: la costruzione disturberebbe la migrazione degli uccelli e l’ombra proiettata sulle acque nuocerebbe ai pesci – nessuno si è ancora spinto a dire che i pescispada smetterebbero d’innamorarsi tra le nostre acque; ma succederà, la lana caprina è ai saldi di fine stagione.

Le ragioni del sì annotano l’utilità pratica, l’irrinunciabile opportunità dello sviluppo economico e sociale che ne deriverebbe per i territori se accompagnata dalle infrastrutture di contorno, l’eccezionalità del manufatto, da annoverarlo tra le meraviglie del pianeta, un impatto ambientale che piuttosto arricchirebbe il colpo d’occhio.

Nulla di tragico a pensarla in modo opposto. È la democrazia. Che però scricchiola laddove la scrittrice Nadia Terranova in un articolo su La Stampa chiama alla crociata colleghe/ i, artisti, intellettuali vari, adducendo: «Non ci manca che la cretineria umana devasti l’unica cosa davvero meravigliosa risparmiata dal terremoto del 1908…». Cretineria umana? Cioè, ad avere idee in contrasto con quelle di certe menti illuminate si è cretini? Mah! Sempre la Terranova a definire lo Stretto il Bosforo d’Italia. Beh, questa è più grossa ancora. Sul Bosforo esistono tre ponti sospesi, a campata unica, simili al “nostro”, tra i più lunghi del mondo e che collegano Europa e Asia – quello di Yavuz Sultan Selim, quello dei Martiri del 15 luglio, quello di Fatih Sultan Mehmet; e a Ovest, di là del Mar di Marmara. c’è quello dei Dardanelli, che detiene il primato mondiale della luce con i suoi 2023 metri.

Oh, hanno provato a coinvolgermi – altri. E ho rifiutato. Perché non mi piacciono le cordate a prescindere, comprese quelle disastrose che stanno affossando la narrativa e premi letterari un tempo prestigiosi. Perché sono schierato per il ponte, a condizione che sia in continuità con l’Alta Velocità ferroviaria, mancante da Salerno in giù. Perché immagino che un’opera così gigantesca comporterà in automatico la costruzione e/ o l’ammodernamento e la migliore fruibilità dei tratti autostradali tra Salerno e Reggio, tra Messina e Catania, tra Messina e Palermo, della rete viaria secondaria, come la Statale 106 ionica, della linea ferroviaria da Reggio a Taranto, degli aeroporti anche dotandoli di collegamenti rapidi su rotaia, eccetera. L’elemento preponderante resta l’Alta Velocità, esistendo una provata correlazione tra essa e la crescita dell’economia e lo sviluppo, con ricadute a protezione dell’ambiente. Emerge, numeri alla mano, da uno studio dell’Università Federico II di Na- poli. In buona sostanza, in riferimento all’Italia si è accertata la stretta connessione tra AV e PIL già verificata nei Paesi dotati di AV. Le città del Nord con stazione di AV nel decennio 2008- 2018 hanno visto crescere il Pil del 10% in più rispetto alle città senza AV. Le città del Sud servite da stazioni AV nel decennio 2008- 2018 hanno incrementato l’ 8% in più di PIL rispetto alle città senza AV. Questo si traduce così: in Calabria e in Sicilia l’incremento annuo di PIL passerebbe da 0,8%- 1,00% di media a 1,8%- 2,00%, che corrisponde a più del doppio, cambierebbe cioè la storia delle due regioni. Comunque, l’AV in Sicilia sarebbe di sola utilità interna in mancanza del Ponte, perché resterebbero inalterate le quasi due ore di attraversamento dello Stretto se previsto il carico dei vagoni ferroviari – due ore con l’AV significano una percorrenza di 500/ 600 km e Catania, per esempio, disterebbe 6 ore e non 4 da Roma. C’è inoltre che l’AV cresce togliendo passeggeri al traffico aereo, di gran lunga il più inquinante di CO2, e senza possibilità di usare fonti rinnovabili. Cosicché le proiezioni portano in un anno a un abbattimento di CO2, dovuto ai passeggeri che abbandonano l’aereo a favore dell’AV, pari a circa 2 milioni di tonnellate. Queste, evitate al pianeta, toglieranno forza alla crescita forsennata del gas serra. È quindi chiara, consistente e positiva l’incidenza sull’impatto ambientale. E allora? Allora c’è che la minoranza dei no ponte fa rumore ingannando di numeri e di un consenso che non ha. E c’è che ad andare appresso agli spiriti guida, a quanti ritengono, pur inesperti, di essere la coscienza di tutti sull’intero scibile umano, rischiamo che Calabria e Sicilia rimangano le regioni con l’indice di povertà maggiore dell’Ue. Auguriamoci piuttosto che lo costruiscano, il ponte, e che non si tratti di chiacchiere elettorali destinate a squagliarsi, più della neve di maggio in bassa collina, all’indomani delle elezioni europee.