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Dall’originario testo del 1930 sino alla riforma intervenuta nel 2020, la continua riscrittura dell’abuso di ufficio è la narrazione del tentativo del legislatore di dare maggiori certezze al pubblico funzionario circoscrivendo la fattispecie, ma lasciando comunque ampi margini all’intervento del diritto penale. È tuttavia una storia caratterizzata da riforme parziali, insufficienti e poco durature.
La prova del nove di un esito normativo indeterminato e fumoso è nei numeri. Nel 2021 vi sono state 4.745 iscrizioni nel registro degli indagati, con ben 4.121 provvedimenti di archiviazione. Le condanne, invece, sono state 18 in dibattimento in primo grado (naturalmente, passibili di riforma in appello o in Cassazione), 9 davanti al Gup e sono intervenute 35 sentenze di patteggiamento. Nel 2022 sono state iscritte nel registro degli indagati 3.938 persone, con 3.536 archiviazioni. Di qui, dalla considerazione che l’abuso di ufficio è irriformabile e irredimibile, il ddl S. 808 “Nordio”, attualmente all’esame della Commissione Giustizia del Senato, prevede l’abrogazione dell’art. 323 cp.
Contro tale soluzione si sono però sollevate numerose obiezioni e riserve critiche.
- In primo luogo, molti hanno affermato che l’Italia, abrogando l’art. 323 cp, violerebbe gli obblighi internazionali, per contrasto con l’art. 19 della Convenzione di Merida del 2003, ratificata con legge n. 116 del 2009. Ciò esporrebbe la scelta legislativa a vizi di costituzionalità ( anche se in malam partem), per violazione dell’art. 117 Cost. Inoltre, sarebbe ostativa ad una ipotesi di abrogazione anche la Proposta di Direttiva Ue in materia di contrasto alla corruzione del 3.5.2023 ove all’art. 11 è previsto, per la prima volta, un obbligo di incriminazione dell’abuso di ufficio. Tuttavia, a mio avviso, la Convenzione di Merida impone un obbligo di incriminazione per le sole fattispecie corruttive ( artt. 15 e 16), per le quali adopera l’espressione «shall adopt» ( adotteranno); mentre all’art. 19 rimette la scelta di criminalizzazione dell’abuso d’ufficio agli Stati membri, tanto è vero che utilizza la diversa espressione «each State party shall consider adopting» (ciascun Stato membro valuterà di adottare). Quanto poi alla Proposta di Direttiva Ue, la XIV Commissione della Camera dei Deputati il 19.7.2023 ha redatto un “parere motivato”, esponendo le ragioni per le quali entrerebbe in frizione con i principi di sussidiarietà e di proporzionalità; e per quanto riguarda proprio il reato di abuso d’ufficio ha sottolineato, tra l’altro, come non sia dimostrato «l’asserito carattere transnazionale del fenomeno criminale oggetto della disciplina». E tale parere negativo è stato confermato dall’aula della Camera il 26.7.2023 ( con 187 sì, 100 contrari e 3 astenuti).
- Un secondo ordine di obiezioni all’intervento abrogativo riguarda la possibile riespansione di altre fattispecie, punite più gravemente. In realtà, però, tale preoccupazione prova troppo perché, rispetto a fattispecie più gravi, il vigente art. 323 cp già soccombe per effetto della prevista clausola di riserva, anzi di consunzione, «salvo che il fatto non costituisca un più grave reato». L’unico esito da contrastare sarebbe, semmai, una interpretazione estensiva delle fattispecie più gravi che, pur non potendosi escludere, sarebbe possibile già oggi, in presenza del vigente abuso di ufficio.
- All’opposto, secondo una diffusa opinione, l’abrogazione dell’art. 323 cp lascerebbe vuoti di tutela, indebolirebbe la salvaguardia apprestata dai delitti contro la pubblica amministrazione e favorirebbe la diffusione di condotte lontane dai parametri fissati dall’art. 97 Cost. Ora, è veramente singolare che ormai da decenni ci si lamenti di un diffuso panpenalismo, di una inflazione penale, di un uso simbolico della legislazione, e si spinga verso ipotesi di ampia depenalizzazione ( o decriminalizzazione); ma, di contro, ogni qual volta si tenti di eliminare uno o due reati dal panorama penalistico, peraltro affollato da migliaia di incriminazioni, si alzino gli scudi e si gridi alla possibile diffusione della criminalità. Mi viene in mente «not in my back yard» , «non nel mio giardino» : tutti si dichiarano, in astratto, favorevoli a uno sfoltimento della foresta penalistica, ma poi – in concreto – non è mai la disposizione “giusta” quella da abrogare. Peraltro, lunghe e approfondite riflessioni sul carattere frammentario del diritto penale, e sul suo dover essere extrema ratio, dovrebbero semmai dare maggiore spazio all’apparato amministrativo, perché non tutti gli eventuali illeciti configurabili devono necessariamente essere illeciti penali.
- In parziale continuità con le riserve sopra indicate, vi è chi afferma che l’abrogazione dell’abuso di ufficio indebolirebbe la “lotta” alla corruzione, almeno della corruzione “in senso ampio”. In realtà, in un sistema come il nostro basato sul principio di stretta legalità e sul divieto di interpretazione analogica in malam partem, non sembra opportuno riferirsi a fattispecie che dovrebbero avere ampi e indeterminati campi applicativi o che svolgano funzioni e rivestano ruoli eccedenti i predeterminati e circoscritti settori di intervento repressivo.
- Né sarebbe ragionevole affermare che il delitto di abuso di ufficio è una disposizione da utilizzare come una sorta di “cavallo di Troia”, per scoprire e disvelare contigue sacche di illegalità. Altrimenti, si dovrebbe immaginare un sistema penale ancora più ricco di incriminazioni, con una sorta di “grande fratello” occhiuto, in chiave penalistica, che perseguisse ogni comportamento minimamente illecito, sulla base della considerazione che, induttivamente, dal piccolo illecito sarebbe possibile risalire al grande delitto o a “sistemi” criminali. Saremmo di fronte ad un regime certamente autoritario, in quanto soffocherebbe le libertà dei cittadini.
- Ancora, secondo un’ulteriore lettura, l’abrogazione dell’art. 323 cp distoglierebbe l’attenzione da ben altri profili di necessaria riforma relativi ai delitti contro la pubblica amministrazione. Ora, che ci siano altri profili meritevoli di attenzione e di riforma è dato certo. Ma da qualche parte bisogna pur sempre iniziare. E a me sembra che proprio che l’abuso di ufficio rappresenti un buon punto di inizio. In un Paese in cui è complicato fare riforme organiche la sindrome del “benaltrismo” condurrebbe a non fare neppure le riforme, pur settoriali, contingentemente possibili.
- Altri sostengono che, in fondo, l’elevato numero di archiviazioni e di assoluzioni dimostrerebbe che il “pericolo” dell’abuso di ufficio è schivato dalle poche condanne intervenute. Saremmo dunque in presenza di una meritoria capacità della giurisprudenza di selezionare gli abusi penalmente rilevanti. A mio avviso, tuttavia, ci si dimentica che il processo è di per sé una pena e che ancor di più lo è oggi per i noti effetti della cosiddetta legge Severino in materia di sospensione automatica dalla carica di chi sia stato condannato in via non definitiva per reati contro la pubblica amministrazione.
- Infine, vi è chi ritiene che non sarebbe ragionevole ipotizzare l’abrogazione di reati per i quali si rintracciano poche condanne, come – ad esempio – i delitti di strage, di epidemia, di avvelenamento di acque. Ma, per quel che attiene all’abuso di ufficio, il problema non è che vi siano poche condanne, ma che ci siano troppe archiviazioni o troppe assoluzioni: dunque un numero eccessivo di procedimenti penali a fronte di rari accertamenti della responsabilità penale. Con vite stravolte; carriere bruciate; elezioni poste nel nulla, con un vulnus per la stessa democrazia. In conclusione, di fronte alle numerose riforme sin qui susseguitesi, con gli esiti insoddisfacenti sopra ricordati, la via di una ulteriore rimodulazione del delitto di abuso di ufficio richiamerebbe alla mente una sorta di tela di Penelope, che lascerebbe la situazione normativa perennemente perfettibile, ma concretamente imperfetta.
Dunque, mi sembra che le ragioni di una possibile abrogazione prevalgano su una visione più prudente, tendente ad una sostanziale conservazione dello status quo. E ciò in linea con l’in dubio pro reo, o con una sua possibile esplicitazione («meglio un colpevole fuori che un innocente in galera»), che ormai da centinaia di anni aleggia, per fortuna (ma evidentemente con alterne fortune), sul diritto penale e sulla procedura penale. In questa luce, ove mai l’abrogazione del delitto di abuso d’ufficio lasciasse limitati vuoti di tutela in settori ancora meritevoli dell’intervento del diritto penale, si potrebbe intervenire selettivamente, come del resto affermato nella stessa relazione al ddl S. 808.