Nell’ambito del disegno di legge Nordio, contenente il primo pacchetto di riforme sulla giustizia penale, come già evidenziato su queste pagine con un articolo a cui si rimanda per gli aspetti tecnici, risalta tra il resto l’intervento in materia di traffico di influenze illecite. Si tratta di uno di quei delitti contro la Pubblica amministrazione considerati come “avamposti” rispetto a quelle condotte ben più severe e perniciose di aggressione al munus pubblico, che minano le fondamenta del buon andamento e dell’immagine dell’agire amministrativo. Tra queste fattispecie si collocano l’abuso d’ufficio, il millantato credito e, appunto, il traffico di influenze illecite.

È significativo ad avviso di chi scrive come ciascuno di questi reati condivida, pressoché, la medesima “filogenesi”: tutti e tre costantemente rivisti e rimaneggiati col tempo e tutti e tre destinatari di severe critiche da parte della dottrina e di certa parte della più autorevole giurisprudenza in punto ( difetto) di tassatività e certezza del comando punitivo.

L’ultima tappa di questa filogenesi è rappresentata, prima, dall’abrogazione del delitto di millantato credito nel 2019, ricondotto in una delle condotte di traffico di influenze illecito; poi, nel 2020, da un’ulteriore, ennesima, riforma del delitto di abuso d’ufficio, e infine, oggi, con il ddl Nordio, dalla proposta di abrogazione tout court del suddetto ultimo reato, unitamente a una importante ( e più restrittiva) modifica del delitto di traffico di influenze illecite ( che, per inciso, andrebbe definitivamente a escludere le ipotesi dell’ex millantato credito).

Sembra allora, a giudicare dal brevissimo ma assai aggrovigliato excursus storico di questi “reati- avamposto”, che davvero, per citare le parole dello stimatissimo accademico Vittorio Manes, “tipizzare il traffico di influenze illecite è come dare forma all’acqua”. Proprio così. La difficoltà – o forse, varrebbe il caso di dire una vera e propria aporia – sta nel fatto che, da un punto di vista meramente tecnico- giuridico, si tratta di punire condotte anticipatorie di altre più severe, dunque delitti di pericolo che – benché tali – debbono comunque informarsi a canoni di offensività in concreto per non sfociare in meri atti “preparatori” che non raggiungano neanche la soglia del tentativo punibile ( là dove ipotizzabile) dall’altro, poiché interessano condotte – verrebbe da dire – “squisitamente umane”.

Condotte che trovano, in primis, una diretta difficoltà di tipizzazione dallo stesso legislatore, in secundis una difficoltà del giudice che sarà poi chiamato ad applicarle. È comprensibile, dunque, l’ulteriore stretta garantista e di riduzione dell’ambito applicativo della fattispecie, limitato alle condotte particolarmente gravi, con l’amara consapevolezza che, come sottolineato dal professor Manes, esistono condivisibilmente delle difficoltà ontologiche di tipizzazione di certe condotte che aggrediscono in maniera non sempre immediata e diretta il bene pubblico ma solamente in via mediata e più fluida.