A volte sembra un problema di grammatica, e di preposizioni in particolare: semplici o articolate? Di o della? Quando nacque, il Pd era un partito “della” sinistra, vale a dire un partito nel quale persone “di” sinistra potessero trovare una propria collocazione fianco a fianco di altre provenienti da esperienze diverse, come Prodi, Rosy Bindi o Renzi, per citare alcuni che, in prima repubblica, erano nell’area democristiana. Partito, insomma, nel quale persone di sinistra potessero riconoscersi senza che, per questo, il Partito fosse “di” sinistra.

Questa coabitazione in casa comune è proseguita per anni, sino a che, con Schlein, non è avvenuto il cambio di preposizione: da essere “della” sinistra, il Pd è diventato apertamente “di” sinistra. Le forze progressiste, ma non di sinistra, che un tempo sarebbero state accolte nel Pd, sono ora invitate a montare una tenda a fianco a quella del Pd. È il modello Bettini, dalla casa comune al camping.

Il problema si pone, nell’immediato, per le forze progressiste ancora nel Pd; non è un mistero, infatti, che vi sia più sintonia tra Schlein da una parte e Fratoianni e Bonelli dall’altra, di quanto non ve ne sia, su svariati argomenti, a partire dall’Europa, tra Schlein e esponenti del suo partito quali Picierno o Gori. In generale, però, avendo cambiato da “della” a “di” il Pd ha perso il ruolo centrale che aveva sino a qualche tempo fa nell’alleanza di centrosinistra, che tende quindi a diventare un sinistra-centro.

Il tutto, peraltro, presupponendo che le tende centriste rimangano stabili nel campeggio dell’alleanza e non si spostino, in questa o quella elezione, locale o nazionale, verso altri camping. Stabilità non garantita. Mentre ciò avveniva nel corso degli ultimi mesi, dall’altra parte Giorgia Meloni ha cercato, talvolta con successo, di smarcarsi dalle sue posizioni barricadere di un tempo, quelle del “parlateci di Bibbiano”, dei blocchi navali e della guerra ad oltranza contro l’Europa. Anzi, il suo progressivo avvicinamento a von der Leyen è stato un tratto caratteristico dalle ultime Europee in qua, e il ruolo di estremista della coalizione è stato lasciato, quasi con scambio di ruoli, a Salvini e Vannacci.

Mentre quindi la coalizione al governo, nata come destra-centro tende a presentarsi sempre più moderata e istituzionale, quella di centrosinistra, grazie al cambio di preposizione, tende a caratterizzarsi sempre più a sinistra. E quindi sorge la domanda: ma è poi così importante il centro? Se si guarda ai leader, ai vari Calenda e Renzi, in genere altamente inclini a litigiosità ed egotismo, la risposta potrebbe essere negativa.

Ma se si guarda non ai leader politici, ma agli elettori, allora le cose potrebbero cambiare. Alla fine dell’anno scorso Eumetra chiese ad un campione di italiani come si percepissero politicamente. Tralasciando i decimali, la riposta fu che un 34% si percepiva, in generale, di centrodestra e un 32% di centrosinistra. A questi si aggiungeva un 9% che era dichiaratamente di centro e un 21% che non si collocava.

A successiva domanda, però, il 32% di centro sinistra si divideva tra un 12% che si sentiva di sinistra tout court e un 20% che ci teneva a sottolineare il termine “centro” preposto a sinistra. Idem con la coalizione di governo: quel 34% diventava un 13% destra e un 21% di centrodestra. Il tutto per dire che, sommando i centristi puri, e quelli che ci tengono ad essere centro, e non solo destra o sinistra, la componente che si percepisce più moderata, in Italia, è forse maggioritaria (che poi sia effettivamente moderata è altro discorso, un discorso molto lungo, peraltro).

Il vero pericolo per Schlein, quindi, non è tanto e solo l’eventuale creazione di un terzo polo, esperimento per giunta già tentato e fallito, ma la percezione, degli elettori che si ritengono moderati, di un campeggio di coalizione che fino a qualche tempo fa aveva piazzato al centro la grande tenda del Pd con altre ad attorniarla, mentre ora vede la grande tenda spostata a sinistra in alleanza stretta con Avs e 5stelle, e qualche canadese o igloo al centro. Mentre la coalizione del Pd si decentra, insomma, Meloni si accentra, e vien da chiedersi, al di là dei politici di professione che guardano a questo o quel leader, cosa ne penserà quella gran parte di elettorato che ama autodefinirsi moderato.