Il linciaggio mediatico nei confronti di Paolo Di Pietro, padre dello youtuber indagato per la morte di un bambino di cinque anni, dovrebbe finire nei manuali di giornalismo per illustrare che cos’è una deriva giustizialista.

Nessuno ha ancora ricostruito con precisione la dinamica dell’incidente avvenuto alle porte di Roma ma la character assassination di giornali, televisioni e siti d’informazione ha dato il peggio di sé, mescolando in un’escalation cannibale giudizio etico-antropologico e responsabilità penale, Facendo calare sulla tragedia sociologismi d’accatto, sermoni sulla nostra gioventù priva di valori e sconcertanti atti d’accusa contro youtube e i social network.

Come se l’alta velocità non fosse già una piaga che ogni anno falcia centinaia di ragazzi e ragazze: nel 2022 sono state 365 le vittime tra i 15 e i 24 anni, circa un terzo del totale, anche se in proporzioni decisamente inferiori rispetto a trent’anni fa quando la media era di 6-7mila morti l’anno di cui quaasi duemila giovanissimi. E all’epoca internet di certo esisteva. Si tiravano giù i sassi dai cavalcavia, c’erano le corse clandestine, l’educazione stradale era decisamente primordiale rispetto a oggi.

La macchina del fango che sta colpendo il padre di Matteo Di Pietro (il ragazzo alla guida dell’auto) è però qualcosa di stupefacente, che supera il limite della decenza. A indagini ancora in corso andati scavare sul web, tra i video pubblicati dai The Borderline (il canale del figlio e degli altri amici che erano all’interno dell’auto al momento dell’incidente) ce n’è uno in cui appare alla guida di una Ferrari, senza cintura di sicurezza, che rimbalza dappertutto. Del tutto irrilevante per l’inchiesta sull’omicidio stradale, ma sufficiente a scatenare la gogna e l’indignazione collettiva contro tutta la famiglia che ha ricevuto minacce di morte e nelle ultime ore ha dovuto lasciare la capitale. Ma si può fare di peggio.

Come ad esempio sbattere in prima pagina i guai giudiziari del signor Di Pietro che nel 2009 fu indagato per la gestione della cassa di Castelporziano, la tenuta del Quirinale sul litorale romano di cui è impiegato da anni. L’affaire arrivò alle alte sfere e coinvolse il segretario alla presidenza della Repubblica Gaetano Gifuni, nonché il cassiere della tenuta. Paolo Di Pietro invece venne prosciolto su richiesta della stessa accusa e non subì alcun processo. Non aveva commesso nessun reato.

Ma questa informazione la trovate in coda agli articoli (e non in tutti) presentati al contrario dai soliti titoli urlati e scandalistici che completano l’opera di “mostrificazione” in corso da giorni. Un esercizio in cui nostri media sono campioni del mondo.