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Quando è nata Dolly, Ian Wilmut non ricorda dove fosse e non ricorda di aver ricevuto una telefonata di John Brakcen.
A vederla, Dolly, era una pecora come tante altre e in quella sera del 5 luglio del 1996 nessuno al Roslin Institute ha festeggiato o ha brindato. Eppure quella pecora è stata una delle rivoluzioni scientifiche più impressionanti degli ultimi anni. Dolly era un clone, cioè era nata non da due cellule sessuali – da un ovocita e da uno spermatozoo – ma da una cellula mammaria (la pecora Dolly si chiama così in onore di Dolly Parton) di un’altra pecora di 6 anni il cui materiale genetico era stato rimosso prima di essere trasferita in una cellula uovo. Il risultato è che il nato ha lo stesso DNA dell’animale dal quale è stata prelevata la cellula adulta, sono gemelli – seppure nati a distanza di anni. Wilmut, embriologo e specialista in medicina rigenerativa, è morto il 10 settembre e anche chi non sapeva il suo nome ricordava bene l’affetto di quella notizia, le ansie, la preoccupazione delle implicazioni se a qualcuno fosse venuto in mente di provarci con gli animali umani. O meglio, quando qualcuno ci avrebbe provato perché se funziona con i mammiferi, perché non dovrebbe funzionare con noi?
Sarebbe moralmente accettabile? E quali sarebbero i danni per il clonato? Nascere così è sicuramente più sconvolgente di nascere grazie alle tecniche riproduttive, e quando è nata Louise Browne sembrava già che il mondo sarebbe finito. Invece non è finito e da allora moltissimi altri bambini sono nati ricorrendo alla tecnologia e ci siamo abituati. Potremmo abituarci anche a nascere per clonazione riproduttiva?
Le reazioni che ha suscitato Dolly hanno spesso a che fare con la violazione di qualche patto o di una idea di identità personale che fino a ieri non aveva considerato questa replicazione – se non nella fantascienza. Per quasi tutti è una pericolosa forma di narcisismo (e avete visto che fine ha fatto Narciso?) o di ambizione prometeica (e avete visto che fine ha fatto Prometeo?). Un giocare a fare Dio che non può che avere conseguenze devastanti e irreversibili. Molti ricorrono a esempi letterari come I ragazzi venuti dal Brasile (un esercito di cloni di Hitler) o Alien per dimostrare che non può che finire malissimo.
E poi ci sono i mitomani, come i raeliani che alla fine del 2002 annunciano la nascita di Eva, il primo essere umano clonato – poi chissà che fine hanno fatto. Nel sito clonaid.com la nascita del primo clone umano è ancora lì, con la rassicurazione che la tecnica è sicura e che ha le stesse percentuali di successo di qualsiasi altra tecnica riproduttiva (già questa cosa qui dovrebbe insospettirci per la estenuante vaghezza, ma forse i raeliani hanno solo anticipato le frasette dell’Instagram). Comunque, di Eva non c’è mai stata alcuna prova, così come di altri annunci di nascite per clonazioni e perfino foto – ma cosa potrebbe dimostrare una foto?
Dopo Dolly molti animali sono stati clonati: mufloni, cavalli, maiali. Le ragioni sono varie, dalla ricerca alla medicina rigenerativa, dalla protezione di specie protette alla creazione di animali i cui organi sono compatibili con noi umani. Poi ci sono ragioni un po’ più sceme, come quelle di chi si fa clonare il cane morto, certi di far rivivere il caro amato, con quella vana speranza di immortalità e di eternità che è solo una illusione molto costosa. La tecnologia è straordinaria ma ancora più straordinari sono i fantasmi che evoca.
Se la tecnica fosse sicura, ripeto, quale sarebbe il danno per il clonato? Potrebbe davvero essere considerata come una tecnologia riproduttiva? Esiste una obiezione che non ha a che fare con convinzioni discutibili o credenze che faticano a essere intaccate da questa nuova possibilità?
Perché sappiamo che il DNA è una parte cruciale ma non è l’unica determinante nelle nostre vite e nella nostra personalità; perché nascono già gemelli omozigoti che presentano lo stesso guaio, cioè lo stesso DNA; perché il diritto alla unicità genetica (qualunque cosa significhi) o alla lotteria non è abbastanza forte o sensato per vietare e condannare – mai che il diritto alla lotteria venga invocato in caso di patologie.
Che cosa resta? L’opportunità di un dibattito pubblico razionale e lo sforzo di non cedere alla pigrizia della tradizione o del tempo che fu. È tanto più utile perché le tecnologie avanzano e le domande morali si moltiplicano. È di poco tempo fa la notizia di alcuni embrioni umani creati in laboratorio usando delle cellule staminali – li hanno chiamati sintetici, ma non lo sono. Le questioni anche qui sono enormi. Sarebbe ammissibili farli arrivare alla nascita? Quali sarebbero i danni? Ma non solo: come nel caso di Dolly, ci sono definizioni e limiti da ripensare. La nostra identità e la definizione di embrione, il destino (se c’è o se non c’è e da cosa è determinato), i limiti della ricerca e della scienza. Ogni scoperta scientifica si porta dietro molte domande morali. Alcune più di altre, come la pecora Dolly.