Una coppia di influencer narcisisti e che neanche di fronte alla morte sembra capace di pronunciare parole di compassione. O di fare un pudico passo indietro. Lei è Selvaggia Lucarelli nota polemista, star dei social con milioni di follower e penna del Fatto Quotidiano, lui è Lorenzo Biagiarelli sedicente chef che da qualche tempo vive di luce riflessa, arruolato dalla compagna nella sua sistematica opera di bullismo digitale.

Come due giustizieri (oggi si chiamano debunker) i due scrutano il web alla ricerca di truffe, imbrogli, raggiri o semplici storture, che si tratti di una raccolta fondi fraudolenta, della penuria di taxi nel centro di Milano, di un cono gelato pagato più del dovuto o, per l’appunto, della recensione farlocca di un ristorante. Lo fanno per «ristabilire la verità», come scriveva ancora ieri una fiera Lucarelli sul suo account X, sfoggiando l’umanità di un iceberg.

Purtroppo stavolta qualcosa non andato per il verso giusto e ci è scappato il morto, la ristoratrice lodigiana Giovanna Pedretti titolare della pizzeria Vignole che domenica scorsa si è tolta la vita sulle rive del fiume Lambro. Anche Pedretti era finita nel mirino della coppia: pochi giorni fa l’avevano accusata di aver pubblicato su Google una finta recensione omofoba e abilista con relativa risposta inclusiva e solidale verso gay e disabili.

La vicenda era finita anche sui giornali che hanno lodato Pedretti. Un tentativo subdolo di fare pubblicità a se stessa e al suo locale, hanno sostenuto gli influencer, mostrando screenshot, font grafiche contraffatte, date che non coincidono, e probabilmente avevano anche ragione, per quello che conta. Sulla sua pagina Facebook, chiamandola la notizia del giorno», Biagiarelli si vanta persino di aver telefonato alla donna, di averla inchiodata, in sei minuti di conversazione, alle sue contraddizioni e alle sue incongruenze, come un vero detective. Ma che però non sarebbe andato avanti più di così, «per umana pietà». Un uomo davvero magnanimo, Lorenzo Biagiarelli. Il post è stato poi condiviso dalla più nota compagna e, come era prevedibile, contro la povera Pedretti si è scatenato l’inferno: migliaia di seguaci, ancora più fanatici e violenti dei loro beniamini, hanno insultato, minacciato e deriso la ristoratrice, una delirante orda di hater disagiati in preda al furore per una recensione su Google. Il resto è drammatica cronaca. Raggelante poi il cinismo dell’opinionista del Fatto Quotidiano che commenta così la notizia: «I social sono pericolosi, la distanza tra l’altare e la polvere è un nanosecondo», la “polvere” per capirci, sarebbe il suicidio di una donna di 58 anni, che, per la famosa influencer, non avrebbe subito «nessuna gogna mediatica».

Ma la morte di Giovanna Pedretti è diventato un caso nazionale, prima notizia delle edizioni online dei grandi quotidiani. E in poche ore, da intrepidi giustizieri del web, Selvaggia Lucarelli e Lorenzo Biagiarelli sono diventati i mandanti di un suicidio, praticamente una nuova coppia dell’acido, quasi due assassini; con le stesse dinamiche cannibali e settarie la shitstorm li ha colpiti senza pietà, con insulti, minacce e derisioni.

La figlia di Giovanna Pedretti accusa Lucarelli di aver «massacrato» la madre invitandola con amarezza a cercare «la prossima vittima», è una reazione comprensibile, dettata dalla rabbia e dal dolore. Tutti gli altri però dovrebbero avere la decenza di non alimentare la faida digitale, che è uno dei meccanismi più incontrollabili e deleteri dei social, dovrebbero cioè avere il pudore di fare quel passo indietro che i Lucarelli’s non sono stati in grado di fare. E non gioire nel vedere due influencer che vengono travolti dal loro stesso metodo, non cedere alla soddisfazione del «ben gli sta», alla suggestione psicologica del taglione. Non c’è bisogno di nessun nuovo processo mediatico, ce ne sono già troppi in giro. C’è bisogno solo di buon senso.

Affermare che Giovanna Pedretti si sia tolta la vita «per colpa» del killeraggio di Lucarelli e del suo degno compare, stabilire un rapporto di causa-effetto tra le molestie digitali subite e un gesto così drammatico e insondabile come il suicidio è un atroce errore nel metodo e nel merito. È un modo per banalizzarlo, di ridurre il più estremo degli atti che un essere umano può compiere alle logiche grossolane del sensazionalismo, al solito circo di inquisitori della domenica che però lavorano sette giorni su sette.