Conoscitore com’è anche per radicate ragioni familiari delle virtù ma pure dei vizi della sinistra, Federico Geremicca sulla Stampa ha insinuato il sospetto che, rifiutando l’invito alla festa annuale della Destra di Giorgia Meloni - chiamata Atreju, come il bambino allevato dalla sua tribù nel romanzo La storia infinita di Michael Ende - sulla segretaria del Pd Elly Schlein si fosse allungata «l’ombra della presunzione e arroganza» che tanto danno ha fatto alla sua parte politica. Essa è diventata anche per questo «antipatica», secondo il celebre saggio di Luca Ricolfi. Un’ombra di «superiorità» certamente più credibile della ragione armocromatica prospettata da chi ha scritto o insinuato invece che la Schlein non abbia nulla di nero nel suo guardaroba, e sia stata sconsigliata dalla sua amica e consulente di moda dal procurarsene perché quel colore le starebbe malissimo.

Se è per questo, la signora o signorina del Nazareno avrebbe potuto cercare e trovare alla fine un altro colore. Ma anche dell’ombra della presunzione e dell’arroganza Geremicca ha finito per dubitare ricordandosi della provenienza non comunista o, più in generale, di una certa sinistra della Schlein, «che ha ripreso dopo anni la tessera del Pd solo per poter partecipare alle primarie» poi vinte nella scalata al vertice del partito. E allora Federico ha ripiegato sulla ragione ufficiale del rifiuto addotta dalla Schlein e apparsagli all’inizio inattendibile, e comunque sbagliata perché sottrarsi ad ogni confronto è sempre un errore, una «occasione mancata». La ragione sarebbe quella di preferire ad una festa di partito, pur nello scenario suggestivo e quasi natalizio, a metà dicembre, del romanissimo Castel Sant’Angelo, la Camera dei deputati di cui entrambe fanno parte. Che sarebbe poi anche un modo di rivalutare - si è augurato Geremicca, pur con qualche segno di scetticismo un Parlamento un po’ in affanno per il soverchiante peso del governo e dei suoi troppi decreti legge, destinati coi loro tempi abbreviati a passare come tanti bulldozer sul bicameralismo ancora vigente nella carta costituzionale.

Per fortuna, debbo dire, l’ultimo “pacchetto sicurezza” uscito dal Consiglio dei ministri col dichiarato «orgoglio» della premier è fatto di disegni di legge e non di decreti, di cui ho sentito parlare in qualche trasmissione televisiva. Il suo sarà pertanto un percorso ordinario. Come anche quello, al tempo stesso anche speciale per la cosiddetta doppia lettura fra Camera e Senato, della riforma costituzionale su cui maggiore e più diretto potrà essere lo scontro fra la Schlein dai banchi dell’opposizione piddina e la Meloni dai banchi del governo. Una Meloni appena accusata in piazza dalla Schlein sotto il Pincio, per il suo progetto di premierato, cioè di elezione diretta del presidente del Consiglio, di voler «comandare» più ancora di governare con la doppia investitura del popolo e della fiducia del Parlamento. Mancando la quale, la Meloni avrebbe preferito che le Camere fossero sciolte automaticamente, ma ha dovuto accettare, nel testo della riforma appena controfirmato al Quirinale per la presentazione al Senato, la possibilità di una prova d’appello per il Parlamento di turno. Cui potrà chiedere la fiducia anche un altro, secondo governo presieduto da un eletto nelle liste della maggioranza.