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Egregio Direttore, Le scrivo a nome dell’associazione che presiedo (www.italiastatodidiritto.it) per condividere con Lei le riflessioni che abbiamo fatto dopo la pubblicazione del colloquio tra Filippo Turetta e suo padre. Sull’inopportunità della pubblicazione ci sono state tante autorevoli prese di posizione di dissenso, che noi condividiamo senza aggiungere altro per non rubare spazio a un altro aspetto che ci ha destato forte preoccupazione e che è stato sinora poco evidenziato.
Diversi articoli, nei giorni scorsi, hanno spiegato ai lettori che la trascrizione e il deposito tra le prove della conversazione intercettata tra Turetta e i genitori – da cui è scaturita la divulgazione giornalistica dell’atto giudiziario in cui la conversazione medesima è stata cristallizzata – sarebbe rilevante, dal punto di vista dell’accusa, per comprendere se l’imputato abbia “omesso degli elementi nel corso dell’interrogatorio” che aveva precedentemente reso al Pm. In particolare, la Procura sembra avere fondato la convinzione della sussistenza e della rilevanza di queste omissioni su di una frase pronunciata dall’imputato, nella quale dice ai genitori che avrebbe “nascosto delle cose” al suo avvocato “e, di conseguenza, al Pm”. Se effettivamente questa è la ragione che ha determinato la scelta della Procura di ritenere rilevanti quelle intercettazioni, e quindi di ritenerle a tutti gli effetti prova, non può che provocare profonda meraviglia e dissenso. Riteniamo inaccettabile pensare che si possa mettere al centro di un processo – in cui l’imputato è per di più reo confesso – un profilo di sua attendibilità fondata sulla ricostruzione indiretta di una conversazione intercorsa con il suo difensore. Uno dei cardini del sistema delle garanzie fondamentali della Costituzione e della Convenzione dei diritti dell’uomo è l’assoluto divieto di ascolto e utilizzazione delle conversazioni intercorse tra accusato e proprio difensore. Non solo non dovrebbero essere intercettate, ma se per caso ciò avviene, dovrebbero essere distrutte in modo da non consentire in alcun modo la violazione di un diritto costituzionale. La Corte europea dei diritti dell’uomo, in proposito, ha sancito che, in uno Stato di diritto, chiunque ha diritto di consultare un avvocato e deve poterlo fare in modo libero, rigorosamente privato e confidenziale. Si tratta di una previsione che – unitamente all’altrettanto rigoroso segreto professionale che vincola l’avvocato – garantisce un altro diritto fondamentale, ovvero quello di non autoincriminarsi. Se si sdoganasse l’idea che il divieto di ascolto riguarda solo le conversazioni dirette tra avvocato e assistito, ma che se ne possono comunque ricostruire i contenuti attraverso altre attività investigative – come nel caso delle intercettazioni del colloquio in carcere tra Turetta e i genitori - e utilizzare i contenuti medesimi poi come prova, il divieto sarebbe aggirato e il diritto di difesa ne uscirebbe semplicemente demolito. Crediamo che uno Stato democratico e liberale debba sapere perseguire i delitti, anche i più gravi, riuscendo a garantire sempre i diritti e le libertà fondamentali.