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CARLO CALENDA POLITICO
Diciamoci la verità. Soprattutto noi democristiani, o ex democristiani, che dir si voglia. E cioè, il centro nella politica italiana - e ieri come oggi le cose non sono affatto cambiate - ha un senso, un ruolo, una funzione e una mission se è protagonista.
Detto con altre parole, nel sistema proporzionale come in quello maggioritario la “politica di centro” e il centro contano nella misura in cui riescono a condizionare realmente il corso della politica italiana. Certo, nel sistema proporzionale le cose sono radicalmente diverse. Basti pensare all’esperienza dell’intera Prima Repubblica per rendersene conto. Con la storia concreta della Dc, indubbiamente, ma non solo con la Dc. Una stagione, quella del proporzionale puro che, però, non è all’orizzonte e, di conseguenza, è inutile soffermarsi.
Semmai, l’attenzione va richiamata sull’attuale sistema maggioritario anche se con la correzione proporzionale.
E quindi la riflessione va calata attorno agli attuali due schieramenti maggioritari, il centrodestra e la sinistra. Ora, è inutile farsi illusioni. In entrambi questi schieramenti il centro può giocare un ruolo se incide politicamente ed è decisivo altrimenti, per dirla con Bettini, si riduce ad essere una semplice e banale “tenda”. Ma, per andare con ordine, non possiamo non evidenziare almeno due aspetti oggettivi. Nel campo dell’attuale maggioranza di governo, è inutile girarci attorno, la leadership politico, culturale e programmatica è esercitata da Giorgia Meloni.
Una leadership che, al di là delle chiacchiere della propaganda avversa, è frutto di un innato carisma politico. E, come amava dire Donat- Cattin, «in politica il carisma o c’è o non c’è. È inutile darselo per decreto». Ma da quelle parti, è altrettanto evidente, il ruolo del centro è ancora troppo debole per riuscire a condizionare realmente il progetto politico complessivo della coalizione. E sin quando questo ruolo politico non viene reso sufficientemente visibile, sarà la stessa alleanza ad essere denominata di destra- centro con il ruolo delle forze centriste destinate ad avere un peso inesorabilmente marginale e periferico. Nel campo dell’attuale “campo largo”,
invece, il centro semplicemente non esiste. Fuorché si voglia chiamare centro il partito personale di Renzi che, come ormai sanno tutti, è costretto ad insultare quotidianamente la Premier per avere piena cittadinanza nella coalizione e, soprattutto, per potere strappare i pochi seggi parlamentari - per sè e i propri “cari” - messi gentilmente a disposizione dagli azionisti della maggioranza. Perché sono proprio questi azionisti i veri leader che distribuiscono politicamente le carte. E cioè, in ordine di peso elettorale, Schlein, Conte, Fratoianni/ Bonelli/ Salis e Landini.
Per gli altri, come si suol, c’è solo posto in piedi. E non è affatto un caso che la gamba moderata che si deve mettere in piedi in vista delle elezioni è gestita, ideata, pianificata, organizzata e curata direttamente dal Pd attraverso l’operazione di “taglio e cuci” coordinata direttamente dal solito stratega delle alleanze, l’ex comunista (?) Goffredo Bettini. Appunto, da quelle parti per il centro la collocazione individuata è in una “tenda” o accampamento o rifugio. È persino inutile commentare ulteriormente il peso politico che gli viene riconosciuto.
Paradossalmente, almeno sino ad oggi, chi può declinare con maggiore coerenza e determinazione un progetto politico centrista è Calenda con il suo partito. Finché resiste, come ovvio.
Ecco perché, quando parliamo di futuro del centro e della “politica di centro” dobbiamo essere consapevoli che tale categoria, e quindi il progetto politico, avranno un senso e una mission credibili quando riusciranno ad essere protagonisti come partito o all’interno di una coalizione. Altrimenti, e purtroppo, si tratta semplicemente di una blanda evocazione e di un richiamo perlopiù virtuale.