E così Salvatore Baiardo, il gelataio- giocoliere che per un anno ha portato al guinzaglio pm e giornalisti con la fantomatica e invisibile foto di Berlusconi col boss Giuseppe Graviano, ha calunniato Massimo Giletti. E deve essere messo agli arresti domiciliari. Lo ha deciso la Cassazione, cui era ricorsa la difesa del professore Carlo Taormina, stabilendo che una qualche foto esiste e che Baiardo l’ha mostrata all’ex conduttore di “Non è l’arena”. È Giletti ad aver detto la verità quando è stato sentito dai pubblici ministeri di Firenze. Ha visto, in un locale in penombra, un’immagine in bianco e nero, una “polaroid” probabilmente, risalente al 1992, che ritraeva, secondo quanto detto dal gelataio al giornalista, un giovane Silvio Berlusconi con il generale dei carabinieri Francesco Delfino e il boss mafioso Giuseppe Graviano. Ma lo stesso Giletti aveva solo creduto di riconoscere l’immagine del presidente di Forza Italia e poco più. Non era sicuro di aver riconosciuto il generale, e non conosceva il boss di Cosa nostra. Questo aveva detto ai pm di Firenze. Baiardo però lo aveva smentito, non c’era nessuna foto. Ma il circo barnum era andato avanti per molti mesi, segnati da una serie di dico-non dico, di lunghi passaggi televisivi e di buffonate su Tik- tok. Finché la maionese era impazzita, con la richiesta di arresto di Baiardo per calunnia, respinta dal gip ma accolta dal Tribunale del Riesame il quale ne aveva condizionato l’esecuzione alla conferma della Cassazione. Che ora è arrivata.

Della foto i giudici scrivono che “sicuramente è stata fatta vedere”. Ma «potrebbe essere un fotomontaggio o addirittura essere stata male osservata dal giornalista, per problemi di luce (l’ambiente in cui venne mostrata non era ben illuminato) o essersi sbagliato in ragione del breve tempo in cui gli venne mostrata, magari ingannato da tratti somatici simili a quelli delle persone che ha dichiarato di aver riconosciuto». Nulla di sicuro, quindi. Se non un tentativo di intorbidare le acque in un’inchiesta che fa buchi da tutte le parti e che avrebbe dovuto essere chiusa già da oltre un anno.

La Cassazione interviene anche sulla chiusura imprevista della trasmissione “Non è l’arena”, che ha suscitato tante polemiche. I giudici sembrano credere anche su questo punto a Giletti, più che all’editore Cairo che aveva addotto motivi di bilancio e di audience, e considerano “allarmante” la sospensione del talk “sul piano della libertà d’informazione”. “Tuttavia la decisione”, aggiungono, “… non avvalora di per sé la fondatezza di una vicenda tremenda per la storia della Repubblica italiana”. Nessuna concessione all’ipotesi accusatoria della Procura di Firenze nei confronti di Berlusconi e Dell’Utri, dunque.

Non va sottovalutato il ruolo di Salvatore Baiardo. Soprattutto perché la sua comparsa, verso la fine del 2022, aveva consentito all’inchiesta più surreale della storia, una sorta di “trattativa due” sulla ricerca dei mandanti delle stragi del 1993, di restare aperta, mentre era ormai alla soglia dell’archiviazione. E sarebbe stata la quinta, tra le indagini di Palermo e Caltanissetta, e poi la riapertura del procuratore aggiunto Luca Tescaroli nel 2017 a Firenze. Perché l’ossessione nei confronti di Silvio Berlusconi pare non finire mai. C’è stato un vero accerchiamento nei confronti della sua persona, delle sue aziende, con i controlli sui conti di Fininvest, della sua famiglia, del partito da lui fondato, Forza Italia. Proprio Salvatore Baiardo, strano personaggio che non è mai testimone né pentito, ma che ha già nel proprio passato un favoreggiamento nei confronti dei fratelli Graviano e altri sospetti di calunnia, ha cercato di coinvolgere in qualche chiacchierata tv anche Paolo Berlusconi, quando era editore del Giornale. Il nome era stato fatto “spuntare” in un verbale, quando il gelataio aveva raccontato di averlo incontrato per chiedergli un lavoro. Ipotesi sempre smentita dal fratello dell’ex presidente del Consiglio, anche attraverso una risposta ai quotidiani che ne avevano riferito, tre anni fa, da parte dell’avvocato Nicolò Ghedini. Il quale aveva anche fatto notare qualche particolare incongruente, nel racconto di Baiardo. Come ad esempio il fatto che il 14 febbraio del 2010, giorno in cui sarebbe avvenuto l’incontro, era domenica, giorno nel quale difficilmente si sarebbe potuto trovare nella sede del Giornale il suo editore. Ma ecco che allora il giocoliere aveva subito aggiustato il tiro, dicendo che forse era il 2011.

Questa inchiesta sulle stragi, che dovrebbe essere una cosa seria, vista l’importanza dei fatti, ancora dopo trent’anni è fatta tutta così. C’è un’ossessione storica che tiene insieme pubblici ministeri e giornalisti, e che si chiama Silvio Berlusconi, con una sorta di “bagaglio appresso” che si chiama Marcello Dell’Utri, un vero perseguitato, soprattutto ora che Berlusconi non c’è più. E c’è una tesi, che non possiamo neppure definire di tipo storicistico, che aggiusta continuamente fatti e date per arrivare alla conclusione che le bombe del 1993 di Roma, Firenze e Milano abbiano avuto un prolungamento nell’anno successivo. Il fallito attentato allo stadio Olimpico di Roma e addirittura l’assassinio in Calabria di due carabinieri del gennaio 2024 farebbero parte dello stesso “disegno criminoso” per favorire il trionfo elettorale di Silvio Berlusconi il 27 marzo 1991.

Abbiamo letto di tutto in questi anni, soprattutto negli atti giudiziari. Meno di un anno fa, i soliti pm di Firenze, i due Luca, Tescaroli e Turco, avevano effettuato una perquisizione nella casa e nell’ufficio di Dell’Utri. Indipendentemente da ciò che stessero cercando, è impressionante il tono delle parole dette in interviste e scritte nel decreto di perquisizione. In cui si ripresenta il ritornello del “dobbiamo capire perché nel ’94 la mafia rinunciò alla strategia stragista”. Sottinteso: perché l’obiettivo era stato raggiunto. Del resto hanno continuato per trent’anni – e nonostante quattro archiviazioni, richieste dalle stesse Procure – a scriverlo nero su bianco. Che le stragi avevano l’obiettivo di “diffondere il panico e la paura tra i cittadini, in modo da favorire l’affermazione del progetto politico di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri”. Ecco perché arrivano fino al gennaio 1994, perché quelli sono i giorni in cui il fondatore di Forza Italia, con il famoso video “L’Italia è il Paese che amo…” annunciò la propria “discesa in campo”. Con grande soddisfazione di Totò Riina e dei fratelli Graviano, che così poterono rimettere nel cassetto le bombe. Tutto molto sospetto, tanto da giustificare, a quanto pare, che l’indagine infinita continui. Grazie a Salvatore Baiardo non è ancora finita. Anche dopo Berlusconi. Tanto c’è ancora Dell’Utri. Ma non c’è più a Firenze Luca Tescaroli, promosso procuratore capo a Prato. E la Cassazione ha dato una mano.