Sarebbe davvero spassoso piazzare cimici e microfoni in tutte le redazioni dei giornali e delle nostre televisioni: ne verrebbe fuori la sceneggiatura di un cinepanettone perpetuo, un campionario inesausto di lepidezze sessiste, di battutine razziste e sberleffi omofobi, di macabro umorismo su disabili, emarginati e vittime di guerra. Anche dalle bocche dei personaggi più insospettabili, i più empatici e “buonisti”, statene certi.

Se dovessimo affidarci al flusso informale delle stronzate che diciamo ogni giorno, la nostra fiducia nel genere umano colerebbe velocemente a picco, specchiandoci in un paese di mostri compiaciuti e senza morale, nella migliore tradizione della commedia all’italiana. Anche perché in ballo non ci sono segreti di stato e folgoranti verità, ma solo un cinico desiderio di sputtanamento.

Utilizzare i fuorionda per demolire pubblicamente qualcuno, che si tratti di politici, giornalisti o figure dello spettacolo è un’operazione squallida e disonesta. Il problema è che se ci finisci dentro, come dimostra il collaudato “metodo Striscia”, non puoi più uscirne, perché quei frammenti, quelle frasi rubate ti inchiodano alla realtà dandoti in pasto alla gogna generale. Non è questione di merito ma appunto di metodo, questo vale per Andrea Giambruno, per Guido Crosetto, per Flavio Insinna e per chiunque sia finito nel tristissimo tritacarne del bulletto Antonio Ricci.