Sarebbe da demente - come nella sua versione di “radicalità” è appena capitato a Carlo De Benedetti di dire di Giorgia Meloni per come governa l’Italia, rimediandosi tuttavia del «disgustoso» dalla nuora Paola Ferrari - mettersi a difendere il presidente del Senato Ignazio La Russa dopo che lui stesso ha tenuto a scusarsi pubblicamente del modo in cui ha evocato l’eccidio nazifascista di 79 anni fa alle Fosse Ardeatine.

E poco importa a questo punto se le scuse gli sono uscite dal cuore o dalla lingua, o da entrambe, del tutto spontaneamente o su pressione telefonica, come si è scritto da qualche parte, della presidente del Consiglio e collega di partito reduce da un lungo incontro politico e conviviale al Quirinale col Capo dello Stato Sergio Mattarella. Che alla sua prima elezione alla Presidenza della Repubblica, nell’ormai lontano 2015, scelse proprio le Fosse Ardeatine per la sua prima visita nella funzione appena affidatagli dal Parlamento, senza aspettare la data dell’annuale cerimonia commemorativa di quella pagina nerissima della storia nazionale.

Pur avendolo fatto in altre recenti circostanze, da quando Ignazio La Russa si è prestato, volente e nolente, ad accese polemiche per il modo col quale continua a vedere il passato recente e remoto dell’Italia e della propria militanza politica, non mi è mai venuta la voglia di spendere una parola a sua favore anche stavolta. Ho trovato anch’io - come del resto, ripeto, lui stesso - un po’ troppo disinvolto il suo modo di maneggiare i passaggi più drammatici della storia. Quei «semipensionati» e «musicanti», più che nazisti, caduti nell’attentato gappista del 23 marzo 1944 a Roma e vendicati con 335 «italiani» - com’è stato rimproverato alla Meloni di aver detto, cadendo anche lei in furiosi attacchi- sono apparsi anche a me una troppo semplicistica rappresentazione dell’obiettivo scelto dai partigiani, particolarmente quelli di militanza comunista: i gappisti, appunto.

Ma francamente nel decidere di starmene questa volta zitto non avrei mai immaginato che a mettermi in imbarazzo sarebbe stato di lì a poco uno dei più dichiaratamente e orgogliosamente documentati contestatori di La Russa: il direttore della Stampa Massimo Giannini. Dai cui paradossi non mi lascerò tuttavia provocare sino a difendere il questa volta indifendibile e pentito presidente del Senato, per quanto assimilato dal suo critico addirittura al compianto Pio XII. Le cui ossa si rivolterebbero nella tomba se raggiunte anch’esse, come per fortuna è impossibile, da certa rilettura della tragica primavera romana del 1944.

In particolare, il direttore della Stampa, non gradendo il sacrificio di Salvo D’Acquisto opposto dal presidente del Senato all’attentato dei partigiani comunisti in via Rasella per distinguere il bene dal male, ha accusato Ignazio La Russa di avere adottato «lo stesso registro che usò all’epoca l’Osservatore Romano, “addolorato in nome dell’umanità e dei sentimenti cristiani, quelle 32 vittime da una parte, e 320 persone sacrificate per i colpevoli sfuggiti all’arresto”».

«Ecco, per il patriota Ignazio Benito di oggi - ha scritto Giannini come per inchiodarlo alla presunta croce di Pio XII- i tre “soggetti” della mistificazione corrispondono a quelli del quotidiano della Santa Sede del ’ 44: i tedeschi sono le vittime, i 335 massacrati alle Ardeatine sono le persone sacrificate, i gappisti sono i colpevoli sfuggiti all’arresto». Ora spero solo che il presidente del Senato non si monti la testa, non si penta delle scuse e non torni a parlare come qualche giorno fa, peraltro lasciandosi trascinare in una intervista da un troppo zelante sostenitore o ammiratore che gli aveva praticamente suggerito l’immagine dei musicanti caduti in via Rasella. A proposito, presidente, si lasci dare il consiglio, per quanto non richiesto, di preferire nelle interviste gli avversari agli amici, dai quali ultimi si sa per un vecchio proverbionon si è mai abbastanza capaci di proteggersi, occorrendo l’aiuto del buon Dio.

Citazione per citazione, mi permetto di aggiungere a quella dell’Osservatore Romano del 1944 da parte del direttore della Stampa un’altra di Norberto Bobbio, che del giornale tornese fu autorevolissimo collaboratore, proprio a proposito della primavera del 1944 a Roma dopo che anche Marco Pannella aveva avuto qualcosa da ridire sulla rappresentazione più gradita alla sinistra. «Ci sarà lecito almeno dire senza il timore di essere accusati di essere fascisti o amici dei fascisti, che quei 32 soldati tedeschi - scrisse Bobbio, appunto, negli anni Ottanta - erano soggettivamente innocenti?». Pio XII era già morto da parecchio e non poteva in alcun modo ringraziarlo per il pur tardivo riconoscimento al suo Osservatore Romano.