Diavolo di una donna, o di un «uomo dell’anno», come l’ha incoronata su tutta la prima pagina di Libero il direttore ed ex suo capo dell’ufficio stampa a Palazzo Chigi Mario Sechi.

Dopo averci inchiodato all’inizio del suo mandato, con tanto anche di comunicati e controcomunicati, alle discussioni su come chiamarla - il o la presidente del Consiglio, il o la premier, senza aspettare in quest’ultimo caso la riforma costituzionale che aveva già in testa per l’elezione diretta di chi guida il governo - Giorgia Meloni si è presa una malattia dal genere anch’esso controverso.

Quella specie di sassolino chiamato scientificamente agglomerato di ossolato e carbonato di calcio, inglobato in una matrice gelatinosa - che la Meloni riesce ad accumulare non in una scarpa ma in un orecchio interno, ricavandone nausea, capogiri e bisogno di buio anziché di luce, per cui le sono proibite, fra l’altro, conferenze stampa, da rinviare a tempi, migliori; quella specie - dicevo - di sassolino diventa al plurale maschile o femminile? Sono stati chiamati, per esempio, «gli otoliti» nel titolo della Repubblica e «le otoliti» nel titolo del Foglio, solitamente sofisticato.

Noi, del Dubbio, non so se più furbi o cauti, a cominciare dal direttore Davide Varì e giù giù sino all’ultimo collaboratore come il sottoscritto, ci siamo sottratti alla scelta o scommessa e abbiamo scritto di quello della Meloni come di «un problema di otoliti», o di «sindrome otolitica». Non abbiamo avuto il tempo, ma neppure la voglia, di metterci a consultare chissà quante enciclopedie, né di bussare all’Accademia della Crusca, come qualcuno invece fece l’anno scorso, in occasione delle dispute attorno ai comunicati di Palazzo Chigi sul presidente, e non la presidente del Consiglio.

Auguro naturalmente alla Meloni la più rapida e completa guarigione, che la restituisca agli italiani alla luce del giorno. E pazienza per il troppo severo professore universitario di storie Ernesto Galli della Loggia, che ne ha scritto polemicamente ieri in un editoriale sul Corriere della Sera, se gli sembrerà troppo vivace, troppo assertiva, troppo aggressiva. Sino a fare il gioco degli avversari e avversarie di sinistra che non aspettano altro per demonizzarla e farle perdere qualche punto nei sondaggi che continueranno ad accompagnarla, anzi ad inseguirla, sulla strada delle elezioni di vario tipo nell’anno nuovo che sta arrivando.

In questa speranza di vederla andare indietro e non avanti, di perdere consensi o «disponibilità al voto» anziché guadagnarne, avversari e avversarie non saranno comunque soli. Faranno loro compagnia non all’opposizione ma all’interno della stessa maggioranza gli alleati e al tempo stesso concorrenti della Meloni. A volte, in verità, sembrano più concorrenti che alleati. Ma gli altri, all’opposizione, sono messi anche peggio perché sono fra loro solo concorrenti, anzi avversari, non certo alleati, o non ancora federabili, come direbbe Romano Prodi.