La giustizia riparativa è un qualsiasi procedimento che permette alla vittima, alla persona indicata come autore del reato, e a coloro che sono stati coinvolti dalla commissione di un reato ( familiari, amici, e più in generale la comunità), di confrontarsi con il loro dolore e le loro emozioni, discutere su cosa deve essere fatto per riparare al danno subito con l’aiuto di un facilitatore/ mediatore.

La disciplina organica della giustizia riparativa introdotta dalla Riforma Cartabia ( artt. 42- 67 del Dlgs. n. 150/ 2022), esclude gli avvocati della vittima e della persona indicata come autore del reato dalla partecipazione agli incontri del percorso riparativo. La normativa mortifica il ruolo dell’avvocato, limitandone la presenza all’inizio e alla fine del procedimento. Eppure è proprio con l’avvocato che le parti interessate si confronteranno sull’opportunità di promuovere o di aderire a un percorso riparativo o anche di interromperlo.

Nella Relazione illustrativa del Dlgs. n. 150/ 2022, l’assenza degli avvocati agli incontri viene giustificata al fine di consentire un migliore svolgimento del programma secondo la natura che gli è propria, garantendo a tutti i partecipanti uno spazio protetto di ascolto, di gestione delle emozioni e dei bisogni connessi all’esperienza di vittimizzazione ( p. 384).

Ma proprio per la natura e per i principi ispiratori della giustizia riparativa, la scelta sulle persone da cui vogliono essere accompagnate le parti durante il percorso ripartivo non può che essere rimessa alle parti stesse, vittima e persona indicata come autore dell’offesa. Il rischio che, in maniera molto concreta si pone è che le procedure riparative vengano lasciate ai diversi enti che si propongono di operare nel campo della giustizia riparativa, senza avere quegli strumenti di equidistanza, che solo gli operatori del diritto in senso stretto possono avere. Il rischio più grande, infatti, è che si vada ancora una volta a instaurare un sistema “vittimocentrico” che snaturerebbe la funzione dell’istituto.

La normativa italiana tra l’altro prevede la possibilità di accedere ai programmi di giustizia riparativa anche prima del processo e della condanna. Nel rispetto della presunzione di innocenza, la normativa non fa riferimento al reo, all’imputato, al colpevole, ma alla persona indicata come autore dell’offesa: la figura dell’avvocato è, pertanto, insostituibile per rendere l’assistito consapevole dei vantaggi della giustizia riparativa, ma anche di consentire di prendere decisioni informate. Proprio per la relazione di fiducia che si instaura tra avvocato e assistito, la partecipazione dell’avvocato durante gli incontri può dare più sicurezza alla vittima, può contribuire a rafforzarla psicologicamente, più di quanto potrà mai fare la presenza di persone che pur avendo un interesse leso dal reato, non hanno alcun rapporto con la persona offesa ( eppure la loro partecipazione al programma riparativo è consentito all’art. 45).

La scelta di escludere aprioristicamente gli avvocati dagli incontri dei programmi riparativi, oltre che inopportuna, appare anche poco lungimirante: come accaduto per la procedura di mediazione civile- commerciale, la sperimentazione dei programmi in supporto agli assistiti permetterà agli avvocati di vincere lo scetticismo verso questo nuovo paradigma di giustizia. Gli avvocati posso avere un posto importante in un sistema di giustizia riparativa, sebbene decentrato rispetto al ruolo che ricoprono nel processo: ovviamente, ciò richiede un approccio diverso rispetto al conflitto, che presuppone una diversa consapevolezza e nuove capacità dialogiche e relazionali da parte dell’avvocatura.