Davanti al sarcasmo che si è guadagnato Giuliano Amato nella conferenza stampa di Giorgia Meloni per l’allarme lanciato contro la “deriva autoritaria” della destra al governo, sono rimasto amareggiato per la stima che ho sempre avuto dell’ex presidente del Consiglio, conosciuto quando era il braccio destro di Bettino Craxi a Palazzo Chigi. Se non ripeto una battuta di tre anni fa di Beppe Grillo evocata in questi giorni da Tommaso Labate sul Corriere della Sera – «gli errori dei grandi uomini ci dispiacciono perché danno l’occasione agli scemi di correggerli» – lo devo al fatto che non considero per niente scema la premier. La quale, da professionista della politica come si è confermata nell’incontro d’inizio d’anno coi giornalisti, parando quasi tutti i tiri tirati contro la sua rete, ha saputo cogliere bene, e altrettanto bene contestare l’attacco subìto dal presidente emerito della Corte Costituzionale e rilanciato da una delle prime domande.

In particolare, la premier ha saputo spiegare bene la paura della pretesa deriva autoritaria da parte di Amato con la vicina scadenza del mandato di quattro dei giudici costituzionali di elezione parlamentare. Ai quali pertanto la larga maggioranza di cui dispone il governo in carica consentirebbe l’elezione, a Camere riunite congiuntamente, di giudici costituzionali di orientamento di centrodestra, o destra- centro, come è finita per diventare la coalizione improvvisata nel 1994 dal compianto Silvio Berlusconi e uscita sorprendentemente vincitrice dalle prime elezioni della cosiddetta seconda Repubblica. Potranno risultare di orientamento di centrodestra questi nuovi quattro giudici della Consulta, come sono risultati di orientamento opposto quelli eletti in passato da maggioranze di centrosinistra o similari, senza che mai nessuno se ne fosse stupito o scandalizzato più di tanto.

Convinta giustamente, anche per il ruolo preminente che una politica come lei ha saputo conquistarsi elettoralmente, che la democrazia comporta uguali diritti per tutti, sia che la maggioranza sia di sinistra sia che sia di destra, la Meloni ha trovato nel ragionamento, oltre che nella paura, di Amato un vulnus inaccettabile. Tanto più perché i giudici di elezione parlamentare costituiscono solo un terzo della Corte Costituzionale, essendo un altro terzo nominato dal presidente della Repubblica e un altro terzo ancora designato dalle magistrature ordinaria e amministrative, secondo l’articolo 135 della Costituzione. A meno che - ha detto la Melon i- non lo si voglia modificare per affidare la nomina del supremo organo di garanzia costituzionale «al Pd, sentiti alcuni esimi specialisti fra i quali il professore Giuliano Amato».

Che converrà, per l’acume, la sottigliezza e altre qualità che gli riconosco, di essersi meritato- ripeto- questo affondo pur in tutto il suo carattere paradossale compatibilissimo con la polemica politica. Naturalmente, buon anno lo stesso, sereno e tranquillo, caro Giuliano. Sereno non certo nel senso renziano, su cui lo stesso Matteo Renzi ormai si è abituato a scherzare ricordando la propria successione a Palazzo Chigi ad un Enrico Letta da lui appena incoraggiato a proseguire l’esperienza di presidente del Consiglio.

Diversamente dalla presidenza di una commissione di Palazzo Chigi sull’intelligenza artificiale, cui ha appena rinunciato in polemica proprio con Meloni dichiaratasi peraltro quasi estranea alla nomina (conferita subito dal governo al teologo francescano Benanti), la presidenza emerita della Corte Costituzione è a vita.