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La Corte Suprema di Londra si pronuncia su estensione dell'Equality Act
La sentenza della Corte Suprema del Regno Unito riguarda una questione abbastanza circoscritta, cioè se i termini “donna” e “sesso” nell’Equality Act (2010) si riferiscono solo a una donna biologica e al sesso biologico, escludendo le donne transgender. Messo così, e considerando che quello britannico è un sistema di common law per cui la giurisprudenza si fa dal basso e non dall’alto, la risposta non poteva essere che quella data. Di fatto, la decisione supera interpretazioni precedenti che includevano le persone transgender con Certificato di Riconoscimento di Genere (GRC) all’interno di queste definizioni. La Corte ha chiarito che, sebbene il Gender Recognition Act del 2004 legalizzi il cambio di sesso, ciò non modifica la definizione di sesso ai fini dell’Equality Act.
Nell’Equality Act era chiaro che le disposizioni riguardavano il sesso biologico alla nascita, e non il genere acquisito da una persona, indipendentemente dal possesso o meno di un Certificato di Riconoscimento di Genere. Se il governo britannico vuole cambiare le cose, faccia un’altra legge. Questo non la farà. Il fatto che siano occorse 88 pagine per scrivere una ovvietà, quasi pattinando sul ghiaccio, la dice lunga sul clima politico culturale che circonda la discussione su sesso e genere.
La sentenza avrà implicazioni sul piano della restrizione di alcuni servizi per transgender o l’accesso agli spazi riservati alle donne. Le organizzazioni avranno basi legali per canalizzare l’accesso a spazi per donne, reparti ospedalieri e squadre sportive in base al sesso biologico. Le esclusioni non sono obbligatorie.
Istituzioni come il Sistema Sanitario Nazionale (NHS) e la Commissione per l’Uguaglianza e i Diritti Umani (EHRC) stanno rivalutando le loro politiche per conformarsi all’interpretazione.
L’EHRC ha deciso che i servizi monosesso devono ora basarsi sul sesso biologico. I certificati di riconoscimento di genere mantengono valore legale in ambiti come matrimonio e pensioni, ma il loro peso nel conferire diritti basati sul sesso secondo l’Equality Act, viene limitato.
Le persone trangender sono comunque tutelate contro discriminazioni e molestie, e rimangono protette sotto l’Equality Act per quanto riguarda la caratteristica della “riassegnazione di genere”. Insomma, la sentenza non implica che le persone in transizione o transitate vengano abbandonate a sé stesse.
Sia chi vi ha letto un riconoscimento dei diritti delle donne e un rafforzamento della tutela basata sul sesso, sia chi ha espresso preoccupazione per un aumento di ostracismo, discriminazioni e aggressioni contro le persone transgender, carica di connotati politici una decisione che lascia intatte le questioni sociali e sanitarie collegate all’aumento nei paesi occidentali delle persone, in particolare giovani, che affermano di non riconoscersi nel sesso assegnato alla nascita. Non aveva senso aspettarsi che la Corte Suprema affrontasse questo problema e una diversa interpretazione dell’Equalità Act non solo sarebbe stata sbagliata in punta di fatto e di diritto, ma non avrebbe aiutato (anzi!) a gestire meglio un problema sociale e politico che è sempre più oggetto di polarizzazione pseudo-ideologica.
Dovremmo aver capito da tempo che i pregiudizi sociali, in questo caso contro chi è transgender, non si curano facendo leggi o sentenze sbagliate. Karl Popper sosteneva che le società aperte, quelle che nella storia hanno prodotto più libertà e benessere, sono piene di difetti, che tuttavia non ne compromettono il funzionamento; ma queste società liberali non sopravvivrebbero mai alla credenza comune che non esistono fatti oggettivi.
La sentenza dell’Alta Corte britannica fa capire che una comunità deve usare dei punti di riferimento più o meno controllabili per canalizzare in modo giusto i diritti. Da quei punti di riferimento si possono costruire percorsi sensati per capire la natura delle sfide, come le sofferenze e i rischi delle persone che sentono di non appartenere al sesso genetico, senza inseguire fantasie relativiste. La nostra indole umana, la nostra natura, ci porta a pensare che basti mollare i lacci del buon senso empirico (che non è senso comune) per affrontare situazioni che non riusciamo a spiegare. Però il sesso sappiamo cosa è, incluse le forme cosiddette intersessuali e i disturbi dello sviluppo sessuale, mentre il genere è un’idea abbastanza indefinita. Sulla quale è rischioso costruire diritti a piacere, solo perché si “sente” che farebbe stare meglio.
La Corte Suprema è dovuta intervenire perché c’era troppa indeterminatezza nella politica agganciata al genere. In una fase in cui il genere e la possibilità di cambiarlo medicalmente, anche quando si è minorenni, sono argomenti ideologicamente infiammabili. È un tema a contenuto sanitario. Che polarizza forse più dei vaccini. Chiunque ha un’opinione. Di norma forte, acritica e alimentata da pregiudizi.
Malgrado si dica che viviamo nell’era dell’evidence based medicine (medicina basata sulle prove di efficacia), ai fatti e alle prove si ricorre selettivamente, usando solo quelli che confermano il preconcetto di partenza. Magari sono fatti, ma di certo non prove. Si tratta di questioni che hanno anche una maledetta natura etica. Per cui sarà anche più difficile risolverle per il meglio, e uscirne fuori.