Reduci - si fa per dire, essendo passati più di tre mesi dalle proteste contro la decisione del sindaco di Milano di lasciare accomunare nel Famedio del Cimitero Monumentale ambrosiano i nomi del loro congiunto e di Silvio Berlusconi, pur onorato con i funerali di Stato l’anno scorso, i parenti di Francesco Saverio Borrelli hanno protestato questa volta contro il Corriere della Sera. Che avrebbe fatto peggio del Comune al Famelio, avendo pubblicato con tanto di richiamo in prima pagina una lunga intervista di Aldo Cazzullo all’anziano ex parlamentare socialista Rino Formica, sulla soglia ormai dei 97 anni, titolandola sull’accusa all’allora capo della Procura della Repubblica di Milano d avere aspirato al Quirinale nelle o con le indagini note come “mani pulite”. Che sgominarono la cosiddetta prima Repubblica decapitandone i partiti che avevano l’abitudine biasimevole ma generale di finanziarsi illegalmente con contributi forse anche volontari, per carità, ma dannatamente calcolati in percentuale su lavori pubblici, forniture, affari e simili di chi pagava, cioè con tangenti. Era stata così eretta e demolita al tempo stesso una città chiamata Tangentopoli. Che poi, in verità, lo stesso Borrelli, come ha correttamente ricordato Tiziana Maiolo sul Dubbio, riconobbe fosse stata ricostruita, essedo secondo lui la corruzione ripresa - se davvero fu corruzione quella precedente - in modo persino maggiore e peggiore nelle edizioni successive alla prima Repubblica.

Borrelli nel 2011, a carriera giudiziaria ormai vero la fine e al posto di Procuratore Generale della Corte d’Appello di Milano cui aveva sempre aspirato, disse che “non valeva la pena di buttare all’aria il mondo precedente per cascare poi in quello attuale”. E si lasciò prendere dalla tentazione di chiedere scusa, fornendo a Claudio Martelli l’occasione ci accoglierle, e persino vantarsene in un libro autobiografico. Borrelli d’altronde, mentre pendevano ancora le indagini che avrebbero coinvolto e danneggiato anche l’ex vice segretario di Bettino Craxi, gli aveva già riconosciuto di essere stato fra i migliori, se non il migliore in assoluto dei ministri della Giustizia succedutisi nella tanto deprecata prima Repubblica.

Lasciare accusare anche nei titoli del più diffuso giornale italiano la buonanima del loro marito e padre di avere voluto buttare il mondo all’aria - per ripetere le parole del loro stesso congiunto allo scopo di diventarne il capo, e magari rivoltarlo da solo come “un calzino”, secondo le leggende del Palazzo di Giustizia di Milano, o come presidente della Repubblica o come presidente del Consiglio nominato da un chissà quanto disponibile Oscar Luigi Scalfaro, già amico peraltro del padre; lasciare accusare Borrelli di questo, dicevo, è sembrato troppo ai familiari. Ai quali evidentemente non sono bastate le parole –“Non credo proprio”- opposte a Formica dall’intervistatore e completamente ignorate nei titoli, interni e di prima pagina.

Alla protesta dei congiunti di Francesco Saverio Borrelli il Corriere della Sera ha ritenuto di reagire pubblicandola e basta fra le lettere. Non ci sono state le scuse, ma con un po’ di buona volontà potrebbero essere anche intraviste. Forse non evidenziate solo dal ricordo di un editoriale del Corriere, comparso in pieno svolgimento dell’azione penale delle cosiddette “mani pulite”, in cui l’allora vive direttore Giulio Anselmi prese un po’ le distanze dai metodi e dagli spettacoli degli inquirenti, tanto debordanti erano diventati. A costo di sorprendervi, e di sembrare ingenuo anche alla cara Tiziana Maiolo, neppure a me Rino Formica è apparso del tutto convincente sulla natura e sulle dimensioni delle ambizioni di Borrelli, al quale ho sempre riconosciuto di avere pubblicamente e lecitamente avuto solo e sempre l’obiettivo di imitare il padre anche nel desiderio di arrivare al top del distretto giudiziario in cui lavorava: la Procura Generale della Corte d’Appello.

Che nel 1991, concorrendo alla successione ad Adolfo Beria di Argentine, gli apparve davvero a portata di mano o di toga. Ma all’ultimo momento gli fu preferito dal Consiglio Superiore della Magistratura, con le solite procedure politiche e sindacali ignorate solo dagli ingenui, cioè dai fessi, sino a quando non sarebbe esplosa la vicenda di Luca Palamara, un concorrente imprevisto arrivato da Firenze: Giulio Catelani, Che venne praticamente insediato a Milano, nella cerimonia ufficiale, da un altro Giulio, che era il presidente del Consiglio Andreotti. Ne derivò un clima generale di risentimenti e di sospetti che non giovò alla serenità nelle aule, nei corridoi e nelle stanze del tribunale di Milano. Negarlo sarebbe pura ipocrisia.

A un turno successivo, ripeto, la Procura Generale toccò finalmente a Borrelli, Nel frattempo il mondo, per dirla con lo stesso ormai compianto, altissimo magistrato, era stato tutto mandato “all’aria”. E Borrelli si sentì impegnato a “resistere, resistere, resistere” a Berlusconi, disse pubblicamente con linguaggio - francamente - più da partigiano che da magistrato. Vi e mi chiedo se questa storia può davvero essere considerata normale, con o senza il contorno delle intercettazioni dei servizi segreti a carico degli inquirenti raccontate da Formica. Che ha perso la vista, per sua stessa rivelazione, ma non la memoria.